venerdì 15 dicembre 2017

VALLEY UPRISING

IL DOCUMENTARIO SUI FOLLI CONQUISTATORI DEL PARCO YOSEMITE

Oggi niente escursioni o ferrate. Oggi facciamo un articolo un po’ diverso, un articolo che parla di gloriosi folli che hanno preso d’assalto e conquistato monoliti inaccessibili, ma che non si sono presi troppo sul serio mentre lo facevano. Oggi parliamo di Valley Uprising, il documentario sui re, i maestri e le scimmie del Parco Yosemite.

Valley uprising Yosemite's Rock Climbing Revolution
Fonte e copyright: Sender Films
Quando mi sono imbattuta su Netflix in questo lungometraggio di 90 minuti non sapevo veramente a cosa andavo incontro. A dire il vero non sapevo niente della mecca dell’arrampicata americana se non il suo nome: Yosemite (che nella mia testa puntalmente fa echeggiare la sigla di Yoghi anche se quello era lo Yallowstone, lo so), quindi figurarsi se sapevo che pazzie erano state fatte su quelle rocce.

Non sapevo, ad esempio, che è da sei decenni che c’è una guerra tra i climber e i ranger del parco. Una battaglia che il documentario racconta con quel tono leggero, rapido e divertente che caratterizza tutto il film. Uno scontro, il loro, che per molto tempo sembrava fosse vinto dai climber ma adesso, forse, sono i ranger ad avere la meglio, ma non esageriamo: sono sempre i folli, irriverenti climber di Yosemite di cui stiamo parlando.


La prima generazione: i re dello Yosemite


Lo Yosemite diventa Lo Yosemite negli anni Cinquanta, quando c’era gente come Jack Keruac che percorreva in lungo e in largo le strade d’America, c’erano i surfisti che tagliavano le onde e la beat generation che dettava un nuovo stile di vita. A Yosemite c’erano loro: i re dello Yosemite

Erano i primi arrampicatori che arrivavano lì. In America non c’erano la storia e la cultura dell’arrampicata che l’Europa già aveva e loro se le costruirono passo dopo passo, chiodo dopo chiodo. Erano folli, liberi e bohemien. Si erano accampati alla base di questi colossi rocciosi, tra alberi ed erba e non se ne andavano, non lavoravano, facevano festa e si arrampicavano. Niente di più. A volte facevano festa e si arrampicavano allo stesso tempo a dire il vero. Tipo Warren Harding, uno dei grandi nomi dell’età dell’oro dell’arrampicata americana. Scalava portandosi dietro le bottiglie di vino (e bevendosele anche) e una volta si fece mandare su il tacchino del ringraziamento mentre se ne stava lì in parete. Lo avevo detto che erano matti, no?! Per altro Harding fu anche quello che, rimasto bloccato per giorni in parete per colpa di un temporale, ricacciò indietro a male parole i soccorsi affermando che non ci fosse la minima necessità di soccorrere nessuno. Per favore, non fatelo a casa: lui stava fuori come un balcone!

Oltre ad essere matto, però, Harding aveva una specie di arcinemico che, tra le altre cose, era anche lui uno dei migliori climber fra i re: Royal Robbins. Ora se Harding era un alcolizzato che si dava alle arrampicate Robbins era una specie di filosofo che arrampicava pareti. Avevano un modo di approcciarsi alla roccia talmente diverso che non potevano che essere sempre in contrasto e in competizione. E sapete cosa succede quando due persone vogliono primeggiare? Si conquistano vette. E loro, per esempio, rincorrendosi hanno conquistato prima l’Half Dome (2694mt) e poi El Capitan (2307 mt), tanto per dirne due. Ed El Capitan è alto più o meno tre Empire State Building, per darvi un’unità di misura, figurarsi l’Half Dome!

L’era d’oro dei re dello Yosemite è durata circa vent’anni. Nel 1970, poi, Harding e Dean Caldwell conquistarono Dawn Wall, una delle vie più difficili di El Capitan. Se siete romantici potete dire che quello è stato l’ultimo glorioso atto dei re.



La seconda generazione: i maestri dello Yosemite


Yosemite però non aveva ancora finito di svezzare e crescere i più strani, spericolati e audaci climber del nuovo mondo. Tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta a padroneggiare le rocce e i massicci del parco ci furono gli Stonemaster: un gruppo forse ancora più folle dei re che lo avevano preceduto.

La caratteristica principale degli Stonemaster era che avevano abbracciato pienamente la filosofia del libero amore e delle libere droghe. E se fare l’amore in parete è abbastanza difficile da averli scoraggiati tutti a provare, almeno per quanto ne sappiamo, arrampicarsi subito dopo o mentre si fa assunzione di droghe è un po’ più comodo. Comodo, non sicuro. Quindi particolarità di questi simpatici pazzi irresponsabili era che si arrampicavano sotto effetto di LSD. A confronto Harding sembra un santo ora! Come prima: non fatelo a casa, grazie!

Per incredibile coincidenza questi scellerati furono ulteriormente aiutati nel loro consumo, e poco dopo spaccio, di droga dalla caduta di un aereo. Se l’aereo fosse stato un aereo qualunque la cosa non sarebbe stata di particolare rilevanza, ma visto che questo particolare aereo era pieno di marijuana colombiana, e che per il punto dove era caduto i climber lo raggiunsero prima dei ranger, ebbe inizio un piccolo mercato di marijuana che rifocillò per un po’ le loro tasche sempre vuote. Se questa storia vi suona vagamente familiare sappiate che è perché da questo episodio è stato tratto un film con Silvester Stallone, Cliffhanger.

Comunque gli Stonemaster non sono rimasti famosi solo per l’uso della droga e per gli aerei caduti. Sono stati loro a cominciare il free climbing, ossia quella pratica di arrampicata dove l’unico sostegno è dato da mani, piedi e una corda di sicurezza, e il free solo, dove ci sono solo mani e piedi e niente più corda anche se si è magari a 300 mt da terra. Uno dei maestri del free solo era proprio uno Stonemaster: John Bachar.

Se alla base dei climber dello Yosemite c’era il rifiuto del materialismo non stupisce che la morte di questa seconda generazione sia avvenuta per mano degli sponsor e dei soldi che hanno cominciato a girare quando l’arrampicata divenne mainstream. Molti degli Stonemaster, infatti, divennero sportivi professionisti e il gruppo, semplicemente, si sciolse.


Fonte: Mountain Home Air Force Base; foto di Connor J. Marth

La terza generazione: le scimmie dello Yosemite


Dagli anni Novanta e ancora oggi lo Yosemite è il parco-giochi degli Stone Monkeys, climber come Cedar Wright, Dean Potter, Kevin Jorgeson e Tommy Caldwell, che per primi hanno concluso un’arrampicata libera del Dawn Hall, e Alex Honnold, uno dei più forti free climber viventi.

E se tutto sembrava essere già stato fatto tra quei massicci proprio queste scimmie hanno dimostrato che ancora tutto era da fare. All’ombra di quei colossi in questi anni si può osservare audaci pazzi intenti a fare speedclimbing, o arrampicata veloce e già il nome dice tutto, o a fare bouldering, una forma di free solo su massi fino a 7-8 metri. Altri ancora praticano il base jumping, ossia si buttano dalle vette di questi massicci e atterrano con un paracadute, o il giovanissimo free base, ossia una forma di free solo dove l’elemento di sicurezza è rappresentato da un paracadute. Ed è proprio con questi due ultimi sport che si presentano sostanziosi problemi perché se nel Parco dello Yosemite non è illegale arrampicare lo è buttarsi col paracadute. Per cui ogni volta che un climber ne apre uno scatena con i ranger una caccia del gatto al topo.

Se come me, però, vi viene un po’ di brivido freddo all’idea di fare free solo su El Capitan potete sempre darvi allo slackline, un esercizio di equilibrio che consiste nel camminare su di una fettuccia tesa tra due punti. Ma fatelo tra gli alberi, a pochi metri da terra; non tra due massicci a metri e metri di altezza come certe scimmie dello Yosemite.


Fonte: Lwp Kommunikàciò, foto di Alex Honnold mentre fra free climbing su El Capitan, scattata da Pete Mortimer

Scheda del documentario:


Sceneggiatore: Peter Mortimer, Nick Rosen
Regista: Peter Mortimer, Nick Rosen
Produttore: Sender Films, Big Up Productions
Narratore: Peter Sarsgaard
Durata: 90 minuti
Anno di uscita: 2014

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