venerdì 26 ottobre 2018

5 MOTIVI PER METTERSI IN CAMMINO

OSSIA LA RISPOSTA ALLA TERRIBILE DOMANDA “MA PERCHÉ FAI TREKKING?”

Una cosa che forse non sapete ancora di me, ma che dovreste sapere, è che sono pigra, molto pigra. L’attività fisica e io siamo agli antipodi. Così una delle domande che mi sento fare più spesso è “ma perché fai trekking?”, come se fosse inconcepibile che io trovi fantastico svegliarmi alle 6 del mattino nel weekend per andare a sfacchinare per ore su dislivelli di 600, 700 metri. Eppure è così e non sono neanche l’unica al mondo. E volete sapere perché? Perché ci sono degli ottimi motivi per camminare. Quindi eccone qui 5!


1) SI CAMMINA PER RISCOPRIRE IL MONDO


Camminare in una terra significa prima di tutto entrare in relazione con lei, scoprirne i dettagli, le sfumature e le sfaccettature. Che il paesaggio ci sia del tutto sconosciuto o sia parte della nostra quotidianità prendersi il tempo di attraversarlo comporta inevitabilmente scoprirne tutte le meraviglie. Ogni passo regalerà nuovi occhi con cui leggere la storia, la tradizione e la cultura del luogo. E alla fine di questo viaggio lento si tornerà a casa con la sensazione, la certezza, di conoscere veramente quella terra, in tutti i suoi aspetti più onesti, genuini e coinvolgenti. Sembrerà quasi di essere diventati amici di ogni roccia che si è accarezzata o afferrata con la mano e di ogni foglia che ci ha fatto ombra.



2) SI CAMMINA PER STARE MEGLIO


Uno dei motivi per camminare è curare la propria forma fisica. Camminare, infatti, non si limita soltanto a renderci perfetti per la “prova costume”. Non per niente secondo uno studio dell’Università di Verona una comune passeggiata è meglio persino del correre: traumatizza meno le articolazioni e scioglie una maggiore percentuale di calorie derivanti dai grassi. Ma i suoi benefici vanno ben oltre. È in grado di influire positivamente su ogni funzione dell’organismo: legamenti e muscoli si rinforzano, le articolazioni non solo non sono stressate ma diventano più sciolte e persino il sistema immunitario si migliora, come dimostra uno studio pubblicato sul Journal of Immunopathology and Pharmacology.

D’altro canto, già solo 20 minuti di camminata al giorno sono in grado di ridurre il rischio di scompenso cardiaco del 21%, di prevenire il diabete e di rendere più elastiche le pareti dei vasi sanguigni. È per questo che i camminatori hanno un cuore più grosso: le cavità si allargano per la maggior quantità di sangue. Siamo gente dal cuore grande noi, e dal basso rischio di ipertensione.

Se al camminare ci si aggiunge poi l’alta montagna… bingo! Così sì che si fa il colpaccio! L’alta quota, con la sua aria rarefatta e il suo basso numero di allergeni, fa miracoli per l’asma, le riniti allergiche e le affezioni respiratorie e al tempo stesso massimalizza l’ossigenazione dei tessuti e degli organi vitali grazie alla maggiore produzione di globuli rossi. Un tocca sana per gli anemici.

Insomma il trekking è in grado di fare miracoli:

  • migliora il sistema cardiovascolare 
  • pulisce e apre i polmoni 
  • tonifica i muscoli 
  • rinforza le ossa 
  • fa perdere peso 


3) SI CAMMINA PER COMBATTERE STRESS, ANSIA E TENSIONE


Di solito, durante la settimana, viviamo una vita stressante. Impegni, lavoro, doveri ci obbligano ad andare a mille, a non staccare mai. Se davvero non staccassimo mai, però, rischieremmo di impazzire. Per fortuna il camminare ci viene in soccorso. Immersi nella natura possiamo riscoprire un ritmo più naturale e ritrovare il nostro tempo.

Uno studio dell’Università di Stanford ha dimostrato, infatti, che camminare in un’area verde è in grado di mitigare, se non eliminare, gli effetti del cosiddetto brooding, ossia quella tendenza a rimuginare all’infinito, senza alcuna soluzione, sui problemi della nostra vita. Non so voi ma io sono una campionessa in questo. Ma uscire dalle malefiche aree urbane (che lo favoriscono veramente troppo) e perdermi nella natura mi aiuta a far scomparire ogni traccia di brooding, almeno per qualche ora. E così si cammina per trovare un antistress, per sconfiggere l’ansia, l’aggressività e le tensioni della nostra vita moderna.

In fondo in Giappone andare per boschi è già diventata una “medicina” prescritta da molti dottori. Si chiama Shinrin-yoku, letteralmente “bagno nella foresta”, “trarre giovamento dell’atmosfera della foresta”. Per farlo bisogna camminare nel bosco, senza distrazioni, liberandosi da tutte le tecnologie e cercando di costruire un rapporto reale con la natura. Non è un semplice camminare: è un gioco di concentrazione, di suoni, di carezze agli alberi e alle piante, di profumi che inebriano e rapiscono, di percepire la consistenza di tutto questo. È l’insieme di tutte queste esperienze sensoriali che aiuta il rilassamento e al tempo stesso, quasi fosse una magia, rafforza il sistema immunitario.




4) SI CAMMINA PER RITROVARE LA CREATIVITÀ

Aristotele lo aveva già capito: camminare stimola il cervello. È per quello che ha creato la sua scuola peripatetica. Anche se, a dire il vero, camminare stimola la creatività, non proprio il cervello in generale. Un paio di millenni dopo Aristotele una ricerca dell’Università di Stanford (again) lo dimostra: camminare aumenta la nostra capacità creativa del 50%. Ovviamente, però, si deve camminare nel verde, in un ambiente in grado di rilassare la mente. Sembrerebbe infatti che l’esposizione all’ambiente naturale agisca direttamente sulla corteccia cerebrale pre-frontale favorendo il multitasking e la creatività. Banditi però, ancora una volta, tutti gli oggetti tecnologici e i social media che sovraccaricano il cervello di stimoli e ostacolano il processo del pensiero creativo. Spegnete tutto e lasciatevi ispirare!


5) SI CAMMINA PER RISCOPRIRE SE STESSI


E alla fine si cammina anche per conoscersi meglio, per scoprirsi e riscoprirsi. Camminare nel silenzio della natura, con lo stretto indispensabile con sé, ascoltando il proprio corpo e dirigendo le proprie energie all’obiettivo, fa guadagnare una maggiore consapevolezza di sé. Camminare rende liberi e ci fa ritrovare l’equilibrio che è sempre troppo facile perdere nel caos della quotidianità.


Insomma ci sono molteplici motivi per mettersi in cammino. Qualcuno era un mio motivo fin dall’inizio, qualcuno lo è diventato col tempo, qualcuno non lo è ancora ma magari lo diventerà. E i vostri motivi quali sono? Per cosa vi mettete o vi metterete in cammino?

venerdì 19 ottobre 2018

LA FERRATA ELFERKOFEL – SECONDA PUNTATA

LA VOLTA DELLA FERRATA CHE NON SAPEVA DI ESSERE FINITA


Ci siamo lasciati la settimana scorsa proprio nel momento in cui la ferrata Elferkofel si era palesata. Dopo un avvicinamento infinito lei era lì, alla fine di una lunga cresta dell’Elfer, una delle seven summit della Stubaital. Il bello di questa cresta è il panorama sull’Elferturm, un paretone irraggiungibile. Nulla, però, è bello quanto la ferrata Elferkofel e allora non perdiamo altro tempo che vi ho già fatto aspettare troppo! 

Vista dell'Elferkofel
Vista dell'Elferkofel

La ferrata Elferkofel


Ci tengo a chiarire subito una cosa importante: è tutta colpa dell’Elferturm! Non so dirvi perché ma più osservavo questa immensa parete e più mi venivano le vertigini. Davvero eh! Avevo entrambi i piedi ben piazzati a terra e comunque – zac! – vertigini a go go. Neanche ci soffro di vertigini io, ma guardavo l’Elferturm e – zac! – di nuovo vertigini. Non lo potevo proprio guardare! Peccato, però, che l’Elferturm passa inosservato quanto King Kong a New York. Facilissimo non guardarlo, no?!
 

La ferrata Elferkofel non è particolarmente difficile. Non è certo un sentiero attrezzato, ma non è neanche un suicidio programmato. È importante, però, tenere a mente una realtà fondamentale su cui si regge il mondo: se gli austriaci dicono che un’escursione o una ferrata è facile non è vero! Per cui la klettesteig Elferkofel non è propriamente quella che io definire una via ferrata facile, soprattutto non con le vertigini. È comunque una ferrata fattibile.
 

La parte più difficile di questa klettesteig direi che è indubbiamente l’inizio: un camino con staffe. Se fossimo in Italia un tratto attrezzato con le staffe sarebbe la parte più facile della ferrata, ma in Austria non c’è mai una staffa di troppo, anzi forse ce n’è una di meno, soprattutto se si è alti meno di un metro e settanta come me. Il Signor Coso ha imbrogliato: con il suo metro e novanta si è adattato alla perfezione alle unità di misura mitteleuropee (e per fortuna che giura di avere origini siciliane!). Invece io mi sono incastrata subito. Ero bloccata lì nel camino e non riuscivo più ad andare avanti. Povero austriaco dopo di me: non gli facevo più iniziare la salita.
 

Nonostante le vertigini, comunque, alla fine in qualche ignoto modo sono riuscita a venir fuori da quel malefico canale. A quel punto si sono susseguite un paio di rapide creste piuttosto esposte che mi hanno ricordato in un attimo quanto sia effimera la mia esistenza su questo pianeta. Per fortuna per lui, però, il povero austriaco mi aveva superata perché a quel punto io procedevo un passo ogni sette anni. E mi sembrava pure di andare veloce.
 

Comunque dopo un altro paio di tratti con cavo orizzontale, al punto che diventa quasi impossibile camminare e tenersi vicino al cavo al contempo, si raggiunge l’ultimo tratto di ferrata: un tratto attrezzato con staffe solo per il Signor Coso. Ovviamente io non arrivavo neanche a una staffa. Per fortuna c’erano abbastanza appigli nella roccia per proseguire, altrimenti adesso ero ancora lì!
 

Così dopo 40/50 minuti di via ferrata siamo arrivati in vetta all’Elferkofel (2505 m) dove non c’è nessuna croce, al suo posto c’è una casupola di legno che vi ricorda che quella su cui vi trovate è una vetta delle seven summit. Quando ci siamo arrivati noi era deserta. Non so se sia sempre così o se sia stato un caso e molti che fanno trekking nella Stubaital la raggiungano. Noi comunque ci siamo rimasti per un po’ a mangiare mirtilli e nessuno è arrivato quindi credo che possiamo dirlo con tranquillità: se cercate un posto dove stare da soli e per voi va bene camminare per quasi tre ore per raggiungerlo l’Elferkofel è perfetto per voi. 


Il ritorno dalla Ferrata Elferkofel


Quando abbiamo raggiunto la vetta sono guarita miracolosamente dalle vertigini ed ero pure tutta baldanzosa: ero sopravvissuta alla ferrata Elferkofel, il peggio era passato quindi ora potevo fare qualsiasi cosa. Ecco perché sono andata avanti io: perché non imparo mai.
 

Ciò che sapevamo il Signor Coso e io era che la via di ritorno presentava all’inizio un piccolo tratto attrezzato, ma la verità è un’altra: l’inizio della via di discesa è una ferrata. A dire il vero, per altro, il primo tratto di ritorno è una ferrata in salita non troppo difficile. Si deve solo fare un po’ di forza con braccia e gambe, il resto va da sé. È quando comincia la discesa che la storia si fa difficile.
 

Il tratto in discesa inizia con una parete particolarmente verticale assistita da diverse staffe messe sempre ad altezza austriaco, ma comunque raggiungibili. O per lo meno raggiungibili fino a un certo punto perché verso la fine del paretone c’è un buco. Non c’è altro modo di definirlo. C’è letteralmente un buco dove non vi conviene cadere: l’atterraggio non sarebbe un granché e soprattutto arriverebbe a un po’ troppi metri dall’ultima staffa. Insomma tenetevi bene e non sganciate mai il dissipatore. Ma soprattutto non fatevi prendere dal panico. A sorpresa, ben nascoste sotto il buco, spostate verso destra (quando il proseguimento della ferrata è a sinistra) ci sono le ultime due staffe. Se le ho raggiunte io le può raggiungere chiunque.
 

Superato il buco la ferrata si fa più facile: un breve tratto orizzontale e si raggiunge la via normale. Da questo momento in poi il vero problema è che il sentiero per quanto segnato non è particolarmente chiaro e non si capisce che per tornare indietro e non scendere nell’altra valle bisogna aggirare tutto il massiccio. Noi per fortuna abbiamo incontrato due persone a cui chiedere e per altro erano italiani. Pensavamo di avere fatto il colpaccio: ci saremmo capiti a vicenda alla grande, no?! Ma considerando che dopo aver detto per tre volte che venivamo dalla ferrata (per altro avevamo ancora il casco in testa) hanno continuato ad augurarci una buona ferrata direi che non ci siamo capiti molto bene.
 

Alla fine, comunque, siamo riusciti a ricongiungerci con la via di salita e a raggiungere il bivio per Elferspitze. A quel punto io ero veramente stanca. Mi si preannunciavano davanti almeno altre due ore per tornare alla funivia. Sognavo il mio letto. Non volevo fare un passo più del dovuto.
Il Signor Coso ha detto: “saliamo anche la vetta dell’Elferspitze” e io ho risposto “okay”. A volte non mi capisco neanche da sola. Siamo saliti sull’Elferspitze.
 

Raggiungere la vetta dell’Elferspitze, dove troneggia una croce di legno difficilmente raggiungibile, significa arrampicarsi senza più attrezzatura (è abbastanza facile da permetterlo) in un breve canale stretto, quasi claustrofobico, grazie alle staffe che non fanno per niente sentire la mancanza del cavo. La vetta è un fazzoletto di terra rocciosa. Non ci stanno più di tre persone incastrate nei modi più inconsulti. Nonostante questo vale la pena raggiungerla.
 

Contro ogni pronostico, comunque, alla fine siamo riusciti a tornare persino al rifugio Elferhütte. Erano le tre del pomeriggio, ma i proprietari ci hanno fatto pranzare lo stesso. Sono persone veramente gentili! Ovviamente abbiamo ordinato wurstel, patatine e una birra. Il Signor Coso tra una scura e una weiss ha scelto la weiss. Io odio la weiss e amo da morire le birre scure. Credo che sia stato un suo modo inconscio per farmi capire che dovrei imparare a parlare tedesco così mi ordino la birra da sola la prossima volta. Certo che aggressività Signor Coso!
 

Dopo aver aspettato che passasse il diluvio universale che era venuto in vacanza sull’Elfer insieme con la Bora, ci siamo rimessi in cammino e attraverso il sentiero nel bosco dell’andata abbiamo raggiunto di nuovo la funivia Elfer11 e siamo tornati a Neustift im Stubaital e da lì autobus e casa.
 

È finita così. E che altro c’è da dire di questa ferrata: infinita, quantistica, indecisa, volubile, quasi interminabile ma meravigliosa. Se volete veramente costruire un vostro rapporto con la roccia, se volete scoprire come è guadagnarvela la ferrata andate sull’Elfer. Sarà anche la più bassa delle seven summit ma questa montagna vale tutta la fatica che si fa per conquistarla e anche di più.

La vetta dell'Elferkofel
La vetta dell'Elferkofel

Scheda della ferrata:


Partenza: Neustift im Stubaital
Arrivo: Neustift im Stubaital
Difficoltà: EEA
Durata: 6 ore circa
Dislivello: 700m
Rifugi: Elfer Hütte 


 

Tutte le foto sono mie e del Signor Coso. Le riprese del video e il montaggio sono opera mia e del Signor Coso. La musica del video è liberamente utilizzabile secondo i principi del Creative Commons Attribution License 3.0. I diritti di copyright sono del sito Purple Planet.

sabato 13 ottobre 2018

LA FERRATA ELFERKOFEL – PRIMA PUNTATA

LA VOLTA DELLA FERRATA DI SHRÖDINGER (LA KLETTERSTEIG È VIVA O MORTA?) 


Elferkofel non è stata la mia prima via ferrata in Austria. Voglio che questo sia chiaro subito. Ma se è la prima che vi racconto forse è perché, in fondo in fondo, è quella che mi è rimasta un po’ più nel cuore. Sarà che a modo suo mi ricorda la teoria dei quanti: la ferrata c’è e non c’è al tempo stesso e alla fine compare solo quando ci incocci contro. Tutto chiaro, no?! Avete bisogno di altre spiegazioni? Okay, okay! Andiamo più nel dettaglio.

Casco abbandonato sulle rocce della vetta dell'Elferkofel
Scorcio della vetta dell'Elferkofel

La salita al Rifugio Elferhütte


La prima cosa che bisogna sapere è che Elferkofel è una delle due ferrate che decorano l’Elfer, una delle seven summit della Stubaital. Fino a poco tempo fa ho creduto che le seven summit fossero le sette vette più alte di questa bella valle sotto Innsbruck e per questo ero esaltata dall’essere riuscita a conquistarne due (oltre all’Elfer mi sono portata a casa anche l’Hoher Burgstall), invece ho scoperto che non è così. In realtà sono le sette vette più significative, non so bene per cosa. Comunque sono lo stesso belle e se state facendo trekking nella Stubaital e siete meno polli del Signor Coso e di me potete timbrare il cartellino su ciascuna seven summit che conquistate così poi avrete il premio finale, che ora sul momento non ricordo cosa sia.


Comunque, come dicevamo, Elferkofel è una delle due klettersteig perché l’altra è la Ferrata Nordwand che, però, è molto ma molto più difficile. Della serie che se volete morire male potete andare da bravi inesperti a fare questa ferrata. Se invece volete morire bene fate come noi e godetevi l’Elferkofel che per altro, detto tra noi, porta alla vetta più alta dell’Elfer.

Che vogliate andare a godervi la ferrata Elferkofel o quella Nordwand o che vogliate anche solo intraprendere la via normale l’inizio è sempre lo stesso: si parte da Neustift im Stubaital dove si prende la funivia. Se arrivate in autobus scendere alla fermata Elferbahnen. Per altro vi conviene fare la stesso cosa anche se volete buttarvi giù dall’Elfer con il parapendio o con una mountain bike (please! Nel caso siate dei biker non frenate per evitare i ponti e i salti. Quelli che l’hanno fatto il giorno che sono stata io sull’Elfer mi hanno spezzato il cuore: speravo di vedere delle acrobazie).

Arrivati alla fine della funivia Elfer11 (1794m) la prima cosa che noterete è un gigantesco cerchio, o meglio una sfera… quel saputello del Signor Coso la chiama sfera armillare. Che diamine è mo una sfera armillare? Sono l’unica che quando sente “sfera armillare” pensa all’armadillo? Cioè pensateci: sfera armillare deve essere chiaramente un armadillo arrotolato! Anche se, però, devo ammettere che quella sfera aveva ben poco a che vedere con un armadillo… e poi il Signor Coso diceva che c’entrava qualcosa la sigla di Game of Thrones. Così me lo sono andata a cercare e ho scoperto che è un modello della sfera celeste inventato da Eratostene nel 255 a.C. Ripeto: Eratostene, 255 a.C.; davvero Signor Coso? Comunque per chi ne vuole sapere di più qui trova tutte le informazioni che vuole.  
Nella realtà il nostro armadillo arrotolato è un punto panoramico carino, ma secondo me troppo di scena. Noi neanche ci siamo saliti sopra, per farvi capire quanto poco ci entusiasmava. Più curiosa è stata invece un’informazione che abbiamo raccolto una volta tornati in Italia: sembrerebbe che proseguendo oltre l’armadillo si possa raggiungere un rifugio dove ti ammazzano un qualche animale davanti agli occhi prima di cucinartelo. L’informazione all’inizio era completa, ma nel frattempo mi sono scordata che animale era. Mi verrebbe da dire aragosta ma non riesco a immaginare come possa esserci un’aragosta sulle alpi quindi… il Signor Coso scommette la trota, che è decisamente più probabile, ma a questo punto diciamo che ti cucinano un armadillo e chiudiamola qui.

Ignorando comunque l’armadillo panoramico (e anche quello culinario), subito a destra della funivia ci sono ben due vie che portano al rifugio Elferhütte (2080m) che è la prima tappa di questo lungo avvicinamento. Uno dei due sentieri è praticamente una canicola nelle fiamme infernali visto che è un sentiero dritto per dritto in un prato senza neanche uno straccio di ombra. L’altro, quello che abbiamo intrapreso noi, è uno zig zag nei boschi decorato qui e là di vecchi attrezzi agricoli e che in circa 30 minuti porta al rifugio. Questo in realtà è il sentiero che si percorre anche in inverno con le ciaspole, ma nella stagione invernale è tipo una condanna alla ghigliottina visto che passa sotto alla seggiovia e non c’è abbastanza spazio per piedi e teste. Insomma o passano gli sci di quelli in seggiovia o passano le teste di quelli con le ciaspole, non c’è alternativa.

Se si riesce a sopravvivere alla ghigiottina (e d’estate non è difficile visto che la seggiovia è ferma) si può ammirare in tutta la sua grandezza il rifugio Elferhütte che però sembra più un hotel (ma il servizio è molto da rifugio, non temete! Però questa è un’altra storia). Se proprio va a questo punto ci può anche stare una breve sosta, ma poi si deve ripartire. Da qui, infatti, si intraprende un sentiero indicato in modo chiaro, netto e inopinabile dal cartello segnaletico con su scritto “wanderweg”. Alzi la mano chi sa che vuol dire “wanderweg”… nessuno? Va bene, ve lo dico io: sentiero, significa sentiero. Certo che sono buffi questi austriaci eh!
 

Punto panoramico a forma di sfera armillare sull'Elfer
Il punto panoramico a forma di sfera armillare che si trova sull'Elfer, all'uscita della funivia Elfer11

L’avvicinamento alla ferrata Elferkofel


Il successivo cartello giallo per lo meno è più chiaro visto che indica chiaramente la via da seguire. Da qui si sale lungo un pendio di arbusti sempre seguendo i cavi della funivia. Ho detto salendo, ma non è proprio la parola giusta. Il Signor Coso saliva, io arrancavo, ansimavo e mi lamentavo. E soprattutto ignoravo che questo non era che l’inizio. Infatti, quando usciti dagli arbusti abbiamo intravisto il bivio che con tanta ansia cercavamo, io ero su di giri. Ero certa che quel sentiero in quota che da lontano vedevo perdersi sulla destra dovesse essere il nostro. Già compiangevo i poveracci della via normale che dovevano proseguire dritti inerpicandosi in una salita apparentemente senza fine (e che sembrava aver deciso di sfidare i grattacieli). Il tragico, malefico bivio di Sulzenau Alm non mi aveva proprio insegnato niente! Ovviamente il mio sentiero era quello dritto, il sentiero a destra invece porta alla ferrata Nordwand

Ve lo dico: io sono morta dentro a vedere quella salita infinita tra la ghiaia senza neanche la minima traccia in lontananza della ferrata. Dove era finita la mia ferrata Elferkofel? Dove? E perché io quel giorno avevo deciso di andare sull’Elfer invece di affrontare la meravigliosa, e soprattutto breve, ferrata Hollenrachen? Perché? 

Inutile dire che non ho trovato risposte a queste mie domande. Soprattutto non dopo aver superato la salita ghiaiosa, quando mi sono ritrovata in un sali e scendi di rocce tra cui fare zig zag dove a farmi compagnia ci ha pensato la Bora. Sì lo so cosa state pensando: “ma che Bora e Bora! Sei in Austria mica a Trieste!”. E ho capito gente! Ma in fin dei conti pure la Bora avrà diritto di andarsene un po’ in vacanza no?! E questa estate se ne era andata in vacanza sull’Elfer; io che ci posso fare? Che poi sulle rocce pure pure riuscivo a gestirla, ma quando siamo arrivati sul sentiero franoso che veniva subito dopo vi giuro che volevo fare harakiri. L’unico problema era che avevo lasciato il mio coltello tantō a casa, se no l’avrei fatto giuro! Ormai avevo perso ogni speranza. Mi sembrava di star camminando da ore e ore e ore e ore e ore… e che lo zaino diventasse sempre più pesante e più pesante e più pesante e… insomma, avete capito.
 

In quei terribili giorni di cammino una sola certezza si radicava in me: avevamo sbagliato strada e la ferrata Elferkofel era un’illusione collettiva, una trappola sociale a cui non c’era scampo. Chiunque giurasse di essere arrivato sulla vetta dell’Elferkofel era vittima di un falso ricordo. Era evidente! Non c’era vetta e non c’era più possibilità di tornare indietro: oramai eravamo arrivati troppo lontano, potevamo solo andare avanti. Verso il centoventitreesimo giorno (circa un’ora da quando eravamo partiti dal rifugio, per chi interessa il tempo dell’orologio certamente bugiardo) abbiamo raggiunto il bivio che a destra porta all’Elferspitze, raggiungibile o tramite la via normale o tramite la Nordwand. Piccola curiosità sull’Elferspitze: se tradotto in italiano il suo nome è letteralmente Cima Unidici. Ora qualcuno mi spieghi perché il monte unidici fa parte delle sette vette? Ma undici cosa?

Noi ci siamo spinti ancora oltre. Oramai eravamo totalmente ubriachi dall’idea di affrontare questa ferrata quantistica, questo triangolo delle Bermuda alpinistico, questo buco nero capace di distorcere lo spazio-tempo fino a far sembrare tre mesi di marcia come solo un’ora e mezza di avvicinamento. Ma prima di precipitare in questa illusione collettiva e diventare parte del Matrix-Elferkofel dovevamo ancora affrontare un terreno insidioso, pieno di rocce e di rischi di scivolare, dove ho dovuto fare uso di tutte le mie abilità gollumiane per non precipitare. E nel frattempo la Bora era ancora con noi, così forte che mi sono dovuta togliere il cappello perché proprio non riuscivo ad avanzare sicura di me e tenerlo stretto con una mano per non farlo volare via. Neppure il ventosissimo Brancastello era riuscito in questa impresa!

Alla fine, però, ce l’abbiamo fatta. Superate tutte le prove, sconfitta persino la sfinge (la risposta era “l’uomo” però shhhh! Non ditelo a nessuno), eccolo lì l’ultimo bivio e a destra lei: la ferrata Elferkofel! Ma di lei vi racconto nella seconda puntata (cliccate sul link se volete sapere tutto e vedervi il video). Cliffangher… e buio!

La cresta dell'Elfer, verso la ferrata Elferkofel
La cresta dell'Elfer, verso la ferrata Elferkofel

Tutte le foto sono mie e del Signor Coso