venerdì 21 dicembre 2018

L’EREMO DI SAN DOMENICO, LA CERTOSA DI TRISULTI E L’ABBAZIA DI CASAMARI

LA VOLTA CHE ABBIAMO SCOPERTO CHE LA CIOCIARIA ESISTE - SECONDA PARTE


La Ciociaria si vende male! Questo lo abbiamo già determinato. Tra le Grotte di Collepardo e il Pozzo d’Antullo dovrei già essere riuscita a convincervi che c’è più di un buon motivo per fare una gita in Ciociaria. Però non ho mica finito di raccontarvi tutto quello che c’è laggiù e quindi proseguiamo con l’escursione all’Eremo di San Domenico e le visite alla Certosa di Trisulti e all’Abbazia di Casamari.


Un albero caduta nel bosco della Ciociaria per andare all'Eremo di San Domenico
La via per l'Eremo di San Domenico

L’escursione all’Eremo di San Domenico e la visita al Monastero di San Domenico


Eravamo rimasti con l’abbacchio nello stomaco dopo aver mangiato in un ottimo ristorante ciociaro. Per quanto, però, fosse allettante l’idea di farsi un riposino mentre il nostro stomaco andava a mille per digerirlo, l’orologio della macchina del Signor Coso ci ricordava costantemente che il tempo scorreva inesorabilmente. Nonostante raggiungere Collepardo non sia proprio impossibile da Roma (ci vuole circa un’ora), il mio istinto voglio-vedere-tutto-subito ci ha spinto a rimetterci subito in moto ad andare a caccia dell’eremo che qualche ora prima avevamo bellamente saltato.

Ammetto subito, però, che abbiamo imbrogliato: mentre eravamo a pranzo abbiamo sfruttato il wi-fi del ristorante per tentare di capire dove diamine fosse questo “famoso” eremo. D’altro canto il cartello di legno che avevamo notato prima del pranzo non ci aveva spinto a fermarci quindi ci serviva un piccolo aiutino. Nella realtà, però, il cartello è piuttosto chiaro.

Appena superata la Certosa di Trisulti a destra c’è un vecchio rudere che è tutto quel che resta del Monastero di San Domenico. Alla stessa altezza a sinistra c’è il cartello. Cosa dice il cartello? Eremo di San Domenico. Dove indica? Verso il bosco. Ora, considerando che in qualche misura il Signor Coso e io siamo escursionisti, un cartello di legno che indica verso il bosco dovrebbe dirci qualcosa, no?! Ecco a me non ha detto assolutamente niente la prima volta che l’ho visto; anzi ho proprio detto “ma non potrà mica indicare nel bosco!”. Indicava nel bosco.

Il sentiero per l’Eremo di San Domenico è un delizioso percorso nel bosco curato con un’attenzione che non ti aspetteresti mai da un posto che non sembra avere il minimo interesse per il turismo. L’escursione, se così la vogliamo chiamare, è data per una mezz’ora: 15 minuti per raggiungere l’eremo e 15 minuti per tornare alla strada. Il Signor Coso e io ci abbiamo messo 18 minuti di orologio a salire e scendere. Il fatto che non ci siamo fermati mai a leggere i vari cartelli che si susseguono sul sentiero per raccontare la storia di San Domenico ci ha probabilmente fatto risparmiare molto tempo.


Eremo di San Domenico in Ciociaria
L'Eremo di San Domenico immerso nella vegetazione autunnale
L’eremo è esattamente quello che ci si potrebbe aspettare: una casupola creata direttamente nella roccia, circondata da uno steccato di ultimissima generazione per proteggerla un minimo. L’ingresso dell’eremo è un cancelletto di metallo che purtroppo è ben serrato per impedire che i soliti ladri da quattro soldi si portino via il busto di bronzo del santo che riposa al centro dell’altarino dell’eremo.

L’Eremo di San Domenico nel complesso è carino, ma purtroppo c’è poco da vedere visto che non si può entrare. In compenso il sentiero nel bosco, specie per i colori autunnali delle foglie, è quanto mai suggestivo e fosse già solo per il giallo infuocato degli alberi che lo circondano e che fanno cornice alla Certosa di Trisulti che si vede in lontananza vale la pena salire lassù.

L’Eremo ci era piaciuto ma era durato troppo poco. Eravamo convinti che la Certosa di Trisulti non aprisse prima delle 15.30 ed era ancora presto. Davanti a noi si ergeva quello che resta del Monastero di San Domenico. Ci è sembrato ovvio che la cosa migliore fosse scendere a vedere il monastero da più vicino.

Il Monastero di San Domenico è circondato da rovi, ma se ci si avvicina abbastanza appare evidente che c’è ancora una stradina tra l’erba che permette di arrivare persino a toccare le rocce di pura storia che lo compongono. Il tetto è crollato, la porta sprangata e le finestre più basse chiuse da inferriate, ma arrivare a poter guardare al suo interno con tanta precisione è comunque una bella esperienza. Tra i suoi muri ormai cresce la natura. Qui è là rami, qui e là erba e in qualche punto riuscivo a immaginare dove in primavera crescono i fiori. Era bello. D’altra parte da dove stavo osservando io c’era una finestra senza inferriate. Presi dalla curiosità abbiamo girato intorno all’edificio e abbiamo raggiunto la finestra. Sebbene rispetto all’interno fosse al piano terra, rispetto all’esterno è a qualche metro dal suolo. Niente di eccessivo superava di qualche centimetro di troppo la mia testa. Così mi è venuta un’idea: “mi arrampico!”. D’altro canto le rocce nelle pareti erano frastagliate e sporgenti.

Sì sì lo so. Non sto dando un grande esempio a tutti i bambini del mondo. Arrampicarsi su un rudere in via di crollo… che idea pessima! Ma tranquilli: non l’ho fatto. Non perché non ci abbia provato - ci ho provato, ci ho provato - ma perché con le mani attaccate ai mattoni e un piede già puntato sulla sporgenza più a portata di mano mi sono resa conto che non ce l’avrei mai fatta. Niente! Con ancora un piede ben attaccato al suolo ho esclamato “mi sono sopravvalutata” e ho fatto scoppiare a ridere il Signor Coso. Il mio grande episodio di arrampicata è finito qui. Non c’è nulla da aggiungere. Solo vergogna!

Un angolo della Certosa di Trisulti
La Certosa di Trisulti

La visita alla Certosa di Trisulti e all’Abbazia di Casamari


Per quanto l’eremo e il monastero siano stati belli erano solo un antipasto. La portata principale era la Certosa di Trisulti. Le 15.30 erano ormai arrivate e noi, tutti contenti, siamo entrati per finire solo per scoprire che si poteva entrare solo con la visita guidata e che la visita, d’inverno, iniziava alle 15. Dannazione! Comunque il bigliettaio è stato abbastanza gentile da farci entrare lo stesso e raggiungere il gruppo delle 15.

La Certosa di Trisulti è qualcosa di particolare. Non è una chiesa o un monastero; è un’intera cittadella di sacralità. C’è la piazza, la biblioteca (ora in mano allo Stato e accessibile per motivi di studio), la farmacia, la chiesa, il monastero e diverse fontane. C’è tutto insomma, ma una cosa che non c’è: non ci sono più i frati. Ne è rimasto solo uno, di circa 83/84 anni. Tutti gli altri sono stati portati a Casamari per questione di salute. L’ultimo dei frati (manco fosse l’ultimo dei mohicani) fa ancora messa però, sappiatelo. Lui sì che è un highlander!

Il giro nella Certosa di Trisulti prende circa un’ora e viene fatto da una guida molto gentile. Il nostro gruppo era piuttosto ristretto, non saremmo arrivati oltre le 10 persone, ma mi è parso di capire che sia un numero medio per le visite laggiù. Per altro tre ragazze che erano nel gruppo ci sono rimaste malissimo perché erano lì per il presepe ma non era ancora l’8 dicembre, giorno in cui il presepe viene inaugurato. Il Signor Coso e io di presepi non ne sapevamo nulla quindi siamo stati felici lo stesso. Insomma se non fosse stato per il bigliettaio-guida del Pozzo d’Antullo neanche ci saremmo passati per la Certosa, figurarsi se potessimo avere pretese.

Comunque che fossimo lì per sbaglio credo che ci si leggesse in faccia perché anche una signora del nostro gruppo (non la guida, ci tengo a specificarlo) ci ha tenuto a darci indicazioni su cosa e come avremmo dovuto visitare in Ciociaria. Di solito io sono socievole come un porcospino chiuso; cioè davvero pungo se ti avvicini quindi… che hanno i ciociari? Sono davvero così socievoli o gli manca il senso pungiglioni-da-porcospino-in-avvicinamento? In ogni caso sono contenta che la signora ci abbia parlato, altrimenti non avremmo mai scoperto che a Collepardo c’è l’erboristeria di uno dei migliori maestri erboristi d’Europa e che alla farmacia dell’Abbazia di Casamari vendono un cioccolato fantastico. Abbiamo provato uno di questi due consigli? No! Ma questo che c’entra?

Finito il giro della Certosa di Trisulti avevamo ancora un po’ di tempo per andare a vedere l’Abbazia di Casamari prima della messa delle 18.00. Così, contro il parere di tutti ci siamo avviati rapidamente laggiù. In soli 45 minuti abbiamo raggiunto Casamari (sopravvivendo anche a una curva veramente parabolica che sta poco dopo la Certosa), ma il sole non era più dalla nostra parte: era quasi del tutto tramontato.

Vi posso assicurare che l’Abbazia di Casamari è meravigliosa anche seminascosta dalla penombra dell’imbrunire. Si stagliava potente contro l’oscurità al di sopra della sua larga scalinata. Il suo interno, bianco, candido e immacolato, sembrava la costruzione mastodontica e al tempo stesso delicata della pace. Ogni turista si muoveva silenziosamente al suo interno. In un angolo un prete era impegnato a confessare un fedele. Anche noi ci muovevamo con circospezione e meraviglia.

Non siamo rimasti a lungo nella chiesa, forse un po’ per suggestione forse solo perché volevamo finire di vedere tutto. L’Abbazia di Casamari è un po’ come la Certosa di Trisulti: una cittadella di sacralità. Solo che è liberamente visitabile al punto che al suo interno c’è anche un Museo di arte antica. L’ingresso costa solo 1 euro, anche perché è composto solo da tre piccole stanze. Nonostante questo è veramente interessante e per un appassionato di archeologia immagino sia un’ottima tappa. Il Signor Coso e io siamo rimasti piacevolmente colpiti dalle zanne di un elefante antico che poi dovrebbe essere lo stesso tipo che se ne sta bello raccolto nel Museo di Casal de’ Pazzi a Roma. Noi però non avevamo mai visto qualcosa del genere. Tutto molto bello! Peccato solo non aver potuto vedere di più. Comunque resta un fatto: la Ciociaria è meravigliosa, ma veramente poco capace a raccontarsi! 

Chiostro dell'Abbazia di Casamari nel tramonto
Il chiostro dell'Abbazia di Casamari
Tutte le foto sono mie e del Signor Coso

venerdì 14 dicembre 2018

LE GROTTE DI COLLEPARDO E IL POZZO D’ANTULLO

LA VOLTA CHE ABBIAMO SCOPERTO CHE LA CIOCIARIA ESISTE – PRIMA PARTE


Non pensavo che avrei scritto mai un articolo sulla Ciociaria. Questo è un blog di trekking in fin dei conti: cosa c'entra la Ciociaria? Eppure un paio di weekend fa ho fatto una mezza escursione in Ciociaria e quindi come potevo resistere alla tentazione di raccontarvela? Che stavo facendo in provincia di Frosinone? Ero andata a vedere le Grotte di Collepardo e il Pozzo d’Antullo, ma non mi sono fermata lì.


Torrente cristallino in Ciociaria, a Collepardo
Torrente che passa sotto il Ponte dei Santi, a Collepardo in Ciociaria

La visita al Pozzo d’Antullo e alle Grotte di Collepardo


D’inverno, per varie questioni che non sto qui a elencarvi, non capita spesso al Signor Coso e a me di avere un weekend libero. Quelle rare volte tutto si riduce a una questione essenziale: non sprecare l’occasione! Per questo motivo, due settimane fa, quando il Sacro Graal del calendario ci è capitato in dono dovevamo assolutamente fare qualcosa, andare da qualche parte. E cerca tu che cerco anch’io il Signor Coso si è imbattuto nelle Grotte di Pastena in Ciociaria. A guardare le immagini ci sembravano dei veri capolavori naturali. Siamo stati giorni a rimirarcele online e alla fine abbiamo deciso: saremmo andati alle Grotte di Collepardo, che non sono quelle di Pastena e non ci sono neanche vicine. Che ci volete fare? Ci piace stupire!

Per raggiungere Collepardo da Roma è sufficiente prendere l’autostrada e uscire a Ferentino seguendo poi le indicazioni per Alatri e Collepardo, appunto. In un’ora e 130 chilometri si è lì. E questa è una cosa che mi fa impazzire: tra un po’ in un’ora non si arriva neanche a Ostia partendo da Roma Nord però si raggiunge Collepardo, un meraviglioso borghetto medioevale in Ciociaria. Ma dimmi tu!

La nostra prima meta era il Pozzo d’Antullo, nella parte superiore del paese. Se all’inizio avevamo timore di non trovarlo la moltitudine di cartelli turistici ci hanno tranquillizzato immediatamente. In poco tempo eravamo lì. Il bello/brutto della Ciociaria è il fatto che non ci sia nessuno. In tutto il giorno avremo incontrato sì e no venti persone. Davvero gente: ma non ci vive nessuno in Ciociaria? Non mi lamento eh! Viaggiare è più piacevole senza traffico, ma era surreale. Per altro la mancanza di esseri viventi ci ha fatto pure mancare il parcheggio gratuito di fronte al Pozzo. Non perché non sia segnalato (c’è un bel grande e chiarissimo cartello a indicarlo), ma perché non c’era assolutamente nessuna macchina e sembrava solo una piazzola ghiaiosa al margine della strada.

Se il parcheggio era vuoto il Pozzo d’Antullo non era meglio: c’eravamo solo noi. Strana cosa perché il Pozzo d’Antullo è la voragine carsica più grande d’Europa: quasi 300 metri di circonferenza per circa 70 metri di profondità. Insomma non c’è qualcosa di simile a lui da queste parti e il biglietto per girargli intorno (ché non è possibile scendere all’interno) costa solo 2 euro!

Guardare questa grotta collassata su se stessa toglie il fiato. Nella parte superiore sono ancora visibili tutte le stalattiti tipiche di queste formazioni, mentre nella parte inferiore c’è una vegetazione che quasi neanche la Foresta Amazzonica. A quanto ci ha raccontato il bizzarro bigliettaio-guida in passato fra quella vegetazione i locali ci lasciavano pascolare conigli e capre-pecora per mesi, calandoceli dall’alto



Pozzo d'Antullo
Pozzo d'Antullo 
Se siete rimasti colpiti dalla faccenda dei conigli e delle capre-pecora sappiate che vi siete soffermati sulla cosa sbagliata. Avreste dovuto notare il fatto che il bigliettaio-guida era bizzarro. Come guida onestamente non era un granché (e sembrava pure sorpreso che noi fossimo lì) però aveva la vocazione dell’organizzatore turistico e in un impeto di ospitalità ci ha pure offerto caffè e caramelle. Ma non è ancora il tempo di parlare delle caramelle: teniamole da parte.
Il nostro piano iniziale era Pozzo d’Antullo + Grotte di Collepardo + Abbazia di Casamari, ma il nostro simpatico bigliettaio-guida trovava inaccettabile questo piano e ci ha proposto un’alternativa: Pozzo d’Antullo + Grotte di Collepardo + Certosa di Trisulti + Capo Fiume, che poi è un ristorante. L’idea ci ha incuriosito, ma non sapevamo ancora cosa fare. Nel dubbio, comunque, abbiamo proseguito la nostra strada verso le Grotte di Collepardo.

Per raggiungere le grotte abbiamo riattraversato il paese e preso a destra sulla via principale, scendendo verso la vallata del fiume. Lì c’è l’ingresso delle grotte che, in passato, erano conosciute anche come le Grotte della Regina Margherita, in onore di Margherita di Savoia che le andò a visitare.

L’ingresso alle grotte costa solo 5 euro se si è in possesso del biglietto del Pozzo d’Antullo. In alternativa con il biglietto intero delle grotte si può visitare il pozzo gratuitamente. Insomma two is megl’ che one! Se non fosse che abbiamo avuto la vaga sensazione che la guida delle grotte odiasse il bigliettaio-guida del pozzo, si potrebbe quasi dire che sono tutti una gran bella famiglia.

Le Grotte di Collepardo non sono grandissime, ma sono molto particolari. Prima di tutto perché il loro ingresso è immenso, non stretto e angusto come è di solito quello delle grotte, e poi perché invece di scendere qui si sale. Ebbene sì: noi saliamo anche quando andiamo sottoterra!

Le grotte sono composte da due sale, ma solo una è visitabile: nell’altra ci sono ben 5 specie di pipistrelli che di questo periodo dormono. Piccola parentesi animalista: ho scoperto che stiamo uccidendo i pipistrelli. Volete sapere come? Tentando di ammazzare le zanzare. Noi proviamo ad avvelenarle e loro sopravvivono, poi però i pipistrelli se le mangiano e – zac! – ci restano secchi. Nel caso stiate pensando che non vi importa… i pipistrelli mangiano 20.000 zanzare a notte. 20.000! 20.000, signori! Immaginate quanto vivremmo una vita più zanzare-free se non stessimo avvelenando i pipistrelli.
Le Grotte di Collepardo sono un susseguirsi di stalattiti e stalagmiti dalle forme più varie. Ho visto vecchi, amanti e grifoni di calcare. In alcuni punti erano anneriti dalla luce del sole che riesce ad entrare, in altri erano ancora bianchi e promettenti di nuova crescita.
Ingresso alle Grotte di Collepardo
Grotte di Collepardo

Il Ponte dei Santi e Capo Fiume, il ristorante vuoto ma pieno


Terminata la breve visita alle Grotte di Collepardo dovevamo decidere. Che fare? La Certosa di Trisulti sembrava bella e di certo non era lontana. Ci tentava molto, così abbiamo deciso di andarci a dare un’occhiata. Era quasi l’ora di pranzo.

Quando siamo arrivati ovviamente le porte erano ben sprangate. Ma che fortuna! Almeno, però, sull’uscio c’erano gli orari della visita guidata, ossia l’unico modo di entrare. La prima visita a quel punto era alle 15.30 (avremmo poi scoperto che quello era l’orario estivo e che quello invernale è invece le 15. Dannazione!). Avevamo qualche ora da occupare. Là vicino doveva però esserci un eremo. Perché non provare a visitarlo? Cosa facile se quella domenica non avessimo deciso di saltare tutti i cartelli che vedevamo. E niente: l’eremo è ben segnalato ma noi abbiamo tirato dritto. Cavolo!

Il lato positivo di mancare la meta è che ogni tanto si arriva altrove. Noi siamo arrivati al ristorante Capo Fiume, che poi era il ristorante che ci aveva suggerito il bigliettaio-guida. Capo Fiume è un ristorante sulla riva del fiume, il che fa sì che il suo nome non sia molto creativo ma certamente adatto. Accanto a lui un ampio parcheggio di ghiaia contava più macchine di quante ne avessi viste fino a quel momento in tutta la Ciociaria. Prometteva bene! Così alla fine ci siamo fidati e abbiamo parcheggiato anche noi. È allora che è cominciata la situazione strana.

Il parcheggio era pieno. Il ristorante invece era vuoto. Vuoto, gente! E quanto dico vuoto intendo che non c’era nessuno, neanche i camerieri. Anzi a essere onesto non c’era neanche il ristorante. C’era solo un corridoio con un bancone senza dietro nessuno. Punto. Sul bancone invece c’erano le caramelle, le stesse del Pozzo. Col mio fare da Sherlock Holmes l’ho notato subito e mi sono fatta una mia teoria: Capo Fiume è il ristorante del bigliettaio-guida! La teoria che invece non avevo era quella su dove fossero tutti e dove fosse finito pure il ristorante. Il Signor Coso e io ne abbiamo parlato, mentre eravamo lì, ad alta voce… nessuno è venuto comunque. A un certo punto abbiamo cominciato anche a fare le vasche nel lungo corridoio finendo quasi a casa di qualcuno. Non sapevamo che fare.

Quello che è importante che voi sappiate è che lungo tutto il corridoio c’erano delle porte blindate. Ed è proprio da una di questa che è spuntata fuori, alla fine, una signora che, dopo averci guardato un po’ perplessa, ha capito cosa eravamo: clienti. Così ci ha accompagnato dietro un’altra porta blindata e… magia! Eccolo finalmente il ristorante ed ecco i commensali! Cioè manco il binario 9 e ¾ emoziona tanto! Ciò che però non c’era era la mia sedia nel tavolo che avevamo scelto, ma non temete: me ne hanno data una alla velocità della luce.

Ora io spoilero subito: ho amato Capo Fiume! Però è veramente un posto strano. Perché? Beh, i motivi sono tanti:

  1. Non hanno il menu, ma in compenso la cameriera ha pensato bene di chiedere a noi, perfetti sconosciuti, cosa volessimo senza dirci prima cosa ci fosse da mangiare
  2. Nonostante non avessimo preso un antipasto ci hanno portato bruschette e formaggi quasi stupendosi del nostro debole tentativo di rimandare indietro il piatto. Era un omaggio e noi ci abbiamo messo un attimo per capirlo
  3. A fine pasto, dopo aver rifiutato dolce, frutta e caffè e aver chiesto il conto, ci siamo sentiti rispondere “va bene vi porto dei cantucci!” e l’hanno fatto davvero. L’ho già detto che li amo?
  4. Coperto + acqua di fonte + due abbacchi che si scioglievano in bocca e che ci hanno riempito neanche fossimo delle piñata + patate per un esercito + bruschette e formaggi nell’attesa + cantucci rigorosamente offerti = 22 euro in due scontati a 20 euro perché… boh! Perché vogliono andare in perdita? Non lo so ma è stato meraviglioso!
Insomma il posto più strano del mondo ma il bigliettaio-guida ci ha dato proprio un buon consiglio. Che poi il ristorante è accanto al Ponte dei Santi, un vecchio ponte erboso e suggestivo che però non si nota subito e infatti noi abbiamo preso la macchina per uscire dal parcheggio e fermarci due metri più in là. Niente, quella domenica non avevamo proprio alcun senso!

Una volta con lo stomaco pieno, però, era il momento di rimettersi in cammino. Mancavano ancora tante cose da vedere: l’Eremo di San Domenico, il Monastero di San Domenico, la Certosa di Trisulti, l’Abbazia di Casamari… Ma di questo vi racconto la prossima settimana. Prima fatemi digerire l’abbacchio.

Ponte dei Santi
Ponte dei Santi, vicino al ristorante Capo Fiume
Tutte le foto sono mie e del Signor Coso 
Discalimer: il ristorante non mi ha pagato per questa recensione, non sa che l'ho fatta e con ogni probabilità non sa neanche dell'esistenza di questo blog. Semplicemente il posto era fantastico e mi andava di dirlo.

venerdì 7 dicembre 2018

LA SALITA ALL’HOHER BURGSTALL

LA VOLTA DELLA NOSTRA PRIMA SEVEN SUMMIT NELLA STUBAITAL


Ci eravamo lasciati sulla soglia del Sennjoch Hütte, nella Stubaital in Austria, in piena contemplazione dell’immediata salita sulla vetta di una Seven Summit. Non una qualsiasi Seven Summit, ma la più bassa delle Seven Summit (vi aspettavate qualche altro record per caso?)! E visto che dopo una settimanella confido che il fiato lo avremo recuperato ormai, è ora di iniziare la salita all’Hoher Burgstall

Il sentiero di mezza cresta per raggiungere l'Hoher Burgstall
Il sentiero di mezza cresta di ritorno dall'Hoher Burgstall 

La salita all’Hoher Burgstall


Da Sennjoch Hütte (2225 m) la direzione per l’Hoher Burgstall non è propriamente indicata, ma più o meno è l’unico sentiero che si nota davvero quindi… confido che se non mi sono persa io non lo farà nessuno!

Ovviamente, siccome ci siamo riposati anche troppo e perciò non meritiamo alcuna clemenza da parte del destino, l’inizio della salita all’Hoher Burgstall è, essenzialmente, una salita. E chi se lo aspettava! Purtroppo, però, è una salita decisamente fastidiosa, una di quelle che mi piace definire come “assassina”, che più o meno potete tradurre con un più modico “impegnativa” (ma non rende l’idea, io ve lo dico!).

Dopo non molto, comunque, si raggiunge un bivio che non fa diminuire la salita, ma per lo meno fa comparire un chiaro segnale su dove bisogna andare per raggiungere la vetta che, però, è ancora lontana dall’arrivare. Tra le altre cose, per altro, a questo primo bivio vi è il memento di un alpinista che ormai un po’ di anni fa salì sull’Hoher Burgstall in pieno inverno. Si chiamava Edmund Hillary, ossia il tipino che ha conquistato l’Everest: un nome da poco insomma. Al bivio se si andasse a sinistra si raggiungerebbe, tramite un sentiero che almeno da lì sembra in quota, un rifugio ignoto. Non ignoto perché è ignoto, ma ignoto perché né io né il Signor Coso riusciamo a ricordarci come si chiamasse. Nomi tedeschi… se non vai in un posto finiscono per scomparire completamente dalla memoria. A destra, invece, c’è l’ennesima salita che, come da copione, porta all’Hoher Burgstall; quindi tutti a destra!

Per fortuna dopo poco la salita si trasforma in un sentiero in quota e da qui in poi, lo ammetto, l’Hoher Burgstall e io abbiamo iniziato una relazione neanche troppo clandestina. Era amore! Non quanto ce n’è tra me e il Vioz  o con il Prena, ma comunque un bel po’ d’amore. Purtroppo ogni rosa ha le sue spine e ogni Hoher Burgstall ha la sua ortica. Ebbene sì: c’era ortica ovunque! A destra? Ortica! A sinistra? Ortica! Davanti? Ortica! Indietro? Ortica! Sotto? Ortica! Sopra? Ortica! Insomma ovunque ortica. L’Hoher Burgstall era ortica! Dite che sto esagerando? Okay, è vero: sopra non c’era l’ortica… c’era una roccia sporgente con l’indicazione della direzione da seguire dipinta bellamente sul suo soffitto. Che poi io mi sono sempre chiesta: ma quello è un sentiero di mezza costa, dove posso andare se non sempre dritta per dritta? Va beh! Andiamo avanti. 


Vista dalla vetta dell'Hoher Burgstall
Vista dalla vetta dell'Hoher Burgstall
Terminato il sentiero in quota inizia di nuovo una breve salita a zig zag che porta a una sella tra l’Hoher Burgstall e il Nieder Burgstall. Qual è la differenza tra i due? Il primo è una seven summit a sinistra della sella, il secondo è un bel monte a destra, con una croce carina o almeno così sembrava dalla sella: il Signor Coso e io non siamo saliti sul Nieder Burgstall né all’andata né al ritorno. 

Nonostante il Nieder Burgstall sembrasse piuttosto frequentato, la maggior parte delle persone impegnate a fare trekking nella Stubaital, e più specificatamente in quella sella, quel giorno sembravano intenzionate soltanto a tentare la salita dell’Hoher Burgstall. Tra loro c’era anche un gruppo di Nordic Walking chiamato “le lumache che non si fanno da parte”. Prima regola del codice delle “lumache che non si fanno da parte” è fare traffico ovunque, anche sui sentieri di montagna, anche sull’Hoher Burgstall. L’unico motivo per cui il Signor Coso e io non siamo ancora dietro di loro è perché poi, in realtà, non puntavano alla vetta dell’Hoher Burgstall. Arrivati alla base del massiccio hanno bellamente ignorato entrambe le strade verso la cima e si sono allontanati quietamente in fila indiana. Ciao, ciao lumache!

Alla base del massiccio dell’Hoher Burgstall si dipartono due strade per la vetta: una più tranquilla a sinistra di circa 40 minuti e una un po’ più sfidante a destra di circa 30 minuti. Il Signor Coso e io siamo andati a destra. Così dopo un primo zig zag in salita tra i sassi ci siamo imbattuti in un ultimo tratto di sentiero attrezzato che ci ha divertito alquanto. Per poterlo superare è stato necessario fare una mezza arrampicatina che ha più o meno fregato in pieno la famigliola che ci veniva dietro (loro l’avevano già vista male nel mare di ortica…).

Il sentiero attrezzato non finisce sulla vetta ma alla sua base, ma da qui bastano 5 minuti di facile salita per raggiungere la vetta dell’Hoher Burgstall (2611 m) e quando ci siamo arrivati noi era anche una vetta piuttosto deserta. A proposito: grazie mille sconosciuto tedesco che non capirai mai questo articolo (visto che probabilmente non parlerai italiano) e che ci hai dato la dritta di salire rapidamente in vetta finché era ancora presso che libera.


Vista dalla vetta dell'Hoher Burgstall
Vista dalla vetta dell'Hoher Burgstall

La discesa dall’Hoher Burgstall


Se mi chiedete cosa ricordo della vetta dell’Hoher Burgstall la risposta è semplice: tutto il cibo che abbiamo mangiato lassù. Praticamente ci siamo divorati qualsiasi bene di conforto avessimo con noi. Poco ci mancava che mi mangiassi il Signor Coso. Non l’ho fatto giusto perché era improbabile che bastasse a saziarmi (e per la cronaca: non è che il Signor Coso sia piccolo, solo che la mia fame era di più). Terminato il cibo, quindi, non ci resta che una sola cosa da fare: ridiscendere.

Abbiamo intrapreso la discesa a sinistra prendendo il percorso che a salire avevamo ignorato. È una discesa tra la ghiaia quindi se per caso avete ginocchia farlocche come le mie vi consiglio di mettervi un tutore. Che poi a un certo punto spunta pure un cavo, ma è soltanto un sentiero attrezzato: non fatevi strane idee. Quello che si era fatto idee strane era il Signor Coso che per un attimo si è creduto Tania Cagnotto è si è buttato ad angelo su una roccia, schiantandosi malamente. Lui dice che in realtà è stata colpa del cavo lasso però… sembrava così tanto un tuffo ad angelo…

Raggiunta, più o meno, la quota della sella il cavo finisce e compare un bivio: a destra si può raggiungere il rifugio ignoto di prima, a sinistra invece si prende un sentiero in quota che conduce al bivio del massiccio dell’Hoher Burgstall. Da qui in poi la via di discesa è la stessa di salita.

Volete sapere come abbiamo chiuso la giornata? Con un pranzo al Sennjoch Hütte, ovviamente! Io mi sono presa una deliziosa zuppa di funghi, se siete in zona ve la consiglio, mentre il Signor Coso avrà preso il quindicesimo wurstel della vacanza. Praticamente stava diventando un wurstel vivente! Forse è per quello che il cagnolino del rifugio si era completamente innamorato di lui ed è arrivato persino a leccarlo. Anche se c’è da dire che i cani innamorati di lui non sono stati pochi negli anni, nonostante lui non faccia assolutamente nulla per attirarli.

Dopo un pranzo rapido, comunque, siamo fuggiti dal cagnolino e abbiamo raggiunto di nuovo la funivia Schlick2000 (2136 m) che ci ha riportato a Fulpmes. E così ci siamo lasciati alle spalle la nostra prima Seven Summit e devo dire la verità: sono contenta che sia stata proprio la Hoher Burgstall: bella, sfidante eppure non esagerata. 


Le montagne che circondano l'Hoher Burgstall
Le montagne che circondano l'Hoher Burgstall

Scheda dell’escursione:


Partenza: Sennjoch Hütte (a piedi)
Arrivo: Fulpmes (funivia)
Difficoltà: EE
Durata: 5 ore e mezza circa
Dislivello: 500mt
Rifugi: Rifugio Sennjoch Hütte

Tutte le fotografie sono mie e del Signor Coso