venerdì 27 luglio 2018

UN'AVVENTURA AL CANYON PARK

LA VOLTA CHE… “MA COME MI DEVO BUTTARE SUBITO NEL VUOTO?” 

Oggi rimescoliamo un po’ le carte. Ogni tanto tocca farlo, sapete se no che noia! Quindi niente escursioni, niente ferrate. Siete tristi? Non dovreste. Oggi vi porto in un canyon, vi porto a vivere una piccola avventura, come l’ho vissuta io qualche tempo fa: vi porto al Canyon Park, il parco avventura toscano che mi ha fatto letteralmente venire la pelle d’oca per l’entusiasmo e l’adrenalina.

Fonte: Canyon Parktutti i diritti di copyright appartengono a chiunque altro abbia la paternità di questa foto; immagine del canyon del fiume Serchio

Perché siamo andati al Canyon Park


Si dà il caso che prima di salire la ferrata del Piccolo Cir, ossia la mia prima klettersteig, io non fossi poi così convinta di poter affrontare a cuor leggerlo una via ferrata. Avevo un certo sospetto che, nonostante il corso del CAI fatto, potessi farmela sotto nel bel mezzo della salita e che una qualche paura del vuoto di cui non avevo mai sofferto mi potesse far diventare una statua di sale a non si sa quanti metri dal suolo. E lo sapete voi quanto procede bene in parete una statua di sale? Non ho prove scientifiche a mio sostegno, ma ho buon motivo di credere che non se la cavi alla grande.

Così la primavera prima che me ne andassi a passare qualche glorioso giorno nella bellezza di Colfosco a scoprire che, in effetti sì, una qualche paura del vuoto (o forse dovrei dire una qualche esasperazione della fila in parete) mi prende quando sono bloccata per ore attaccata alla roccia a procedere a passo di lumaca come è successo sulla Ferrata Brigata Tridentina, il Signor Coso individuò nel parco avventura Canyon Park di Bagni di Lucca la perfetta risposta alla mia domanda: ho paura del vuoto?

Ci sembrava, insomma, un buon modo per testare la probabilità di infarto che mi pendeva sulla testa tipo spada di Damocle. Il pregio di tentare con un parco avventura di questo tipo, ossia un percorso aereo che si sviluppa sulle due pareti di un canyon, era quello di mettermi alla prova con un’esposizione estrema, maggiore della gran parte delle ferrate che abbiamo poi fatto, in una condizione di completa sicurezza affiancati come eravamo da personale esperto. A voi viene in mente una soluzione migliore?

Nel caso, invece, non aveste nei piani di avventurarvi sulle vie ferrate (o lo aveste già fatto così tante volte da non dover più testare nulla) resta comunque valida l’idea di andarsi a far pompare un po’ di adrenalina in corpo in un ambiente naturale dalla bellezza incredibile senza correre quasi nessun rischio.


Come si arriva al Canyon Park


Il Canyon Park si trova a Scesta, una frazione di Bagni di Lucca dove, per casualità della vita, mi è capitato di passare diverse volte negli anni della mia infanzia. Anzi, per la precisione, mi sono certamente trovata a costeggiare questo piccolo canyon nostrano; e forse, a pensarci bene, era proprio lui il canyon dove da bambina sognavo così spesso di precipitare con la macchina fino a rendermi difficile guidare per strade strette e a precipizio sul vuoto come quella che porta al giro dei laghi del Cevedale. Nonostante le molte volte che ci sono passata, però, non avevo mai notato che ci fosse un canyon o il fiume Serchio, figurarsi un parco avventura! Ora le cose sono due: o ha aperto ultimamente (e con lui fiume e canyon) o io non noto nulla. Considerando che non noto neanche i negozi che mi aprono sotto casa… direi che è certo che fiume, canyon e parco siano una novità dell’ultimo secondo! 

Adesso vi starete chiedendo come ci sono finita io lassù se non sapevo neanche che ci scorresse acqua da quelle parti. La risposta è semplice: il Signor Coso. Avevamo organizzato una vacanza a Lucca e, visto che il parco è a soli 35 km da lì, aveva trovato il modo di andare anche laggiù: in fin dei conti sono più o meno 45 minuti dal capoluogo garfagnano. Per arrivarci si costeggia persino il Ponte del diavolo e già solo per questo varrebbe la pena di fare il viaggio. Se non sapete la storia del Ponte del diavolo (o Ponte della Maddalena) potete leggerla qui.
Seguendo quindi il corso del Serchio si raggiunge la località Scesta e si parcheggia in uno spiazzo sulla sinistra: un parcheggio ad hoc (anche se non sembra) completamente gratuito. A questo punto vi tocca fare 10 o 20 passi a piedi; lo so, lo so! Che brutto mondo in cui viviamo se ci tocca persino camminare: almeno col parco avventura potrebbe esserci un tapirulan, e invece niente! Dunque stringete i denti, fatevi questa passeggiatina e attraversate il fiume su un ponte di pietra che io ricordavo di legno e minuto e invece il Signor Coso definisce letteralmente “pure bello grosso”. Mentre lo attraversate buttate un’occhiata alla vostra sinistra: potrete vedere quanto saranno belle le vostre successive due ore.

Fonte e credits: Gabriele Geraci; immagine del Ponte del diavolo

Come funziona e cosa si fa al Canyon Park


Per correttezza mi vedo costretta a informarvi che se andate al Canyon Park non siete per forza obbligati a fare cose più o meno estreme o per forza aeree. Potreste fare rafting o yoga o persino un pic-nic nella piccola spiaggia/area relax a destra del ponte. Se però siete come me e volete assolutamente buttarvi nel vuoto il giro dura circa 2 ore e il costo è intorno ai 20€ (controllate sul sito per sapere il prezzo aggiornato) con l’aggiunta di una carta socio di 3€

Nel prezzo è compresa una guida esperta che vi accompagnerà in tutto il giro, la spiegazione di come affrontare il percorso e l’attrezzatura composta da:

  • casco con attacco per le action camera (noi non ce l’eravamo portata o forse non ce l’avevamo ancora quindi niente video, sorry); 
  • imbrago con una sola longia con un moschettone semiaperto con cui non è possibile uscire dal circuito e che permette di superare senza difficoltà le placche dei frazionamenti, ma che non sfugge al cavo; 
  • carrucola
Siccome lo sanno pure loro che non si può buttare così una persona inesperta nel bel mezzo di un circuito aereo, all’inizio si fanno un po’ di prove di movimento su una paretina con i piedi ben piantati a terra. E quando ormai avete imparato a muovere il moschettone e vi sentite a vostro agio (e forse state pure pensando boriosi e altezzosi “ma dai! È facilissimo! A che mi servirà mai la guida?”) il Canyon Park vi rimette al vostro posto con l’inizio del circuito: un lancio nel vuoto con la carrucola per circa 130 m (metro più metro meno, vista la mia memoria traballante).

Vi ricordate quale era la domanda di cui cercavo la risposta? Ho paura del vuoto? Ecco forse avrei dovuto informare anche la mia guida del mio dilemma perché lui, serafico come il Cappellaio Matto o forse, ancor peggio, lo Stregatto, si è letteralmente lanciato in volo con la sua carrucola senza troppe esitazioni scomparendo rapidamente dall’altra parte del canyon. Ohibò! E adesso?
Piccola digressione: il giro si fa in gruppi più o meno numerosi. È quindi la norma prenotare un giro che si condividerà con un gruppo di sconosciuti, almeno che ovviamente non si vada con un piccolo esercito. E se fosse stato così anche nel nostro caso probabilmente io avrei creato una fila immensa alle mie spalle perché affidarmi a quella carrucola andava contro ogni fibra del mio istinto di sopravvivenza. Per fortuna, però, per motivi a noi sconosciuti tutto il nostro gruppo non si era presentato e così il Signor Coso e io abbiamo fatto il nostro giro soli soletti. Quindi niente fila, solo tanta fifa e poi… e poi sono dovuta saltare perché nel frattempo che mi terrorizzavo anche il Signor Coso aveva raggiunto l’altra parte.

Cosa si prova a gettarsi nel vuoto? Panico, adrenalina, terrore, entusiasmo, gioia infinita, euforia e quel giusto pizzico di ansia di morire lì su due piedi. E invece su due piedi si arriva in totale sicurezza dall’altra parte. Per altro le carrucole del Canyon Park sono fatte talmente bene che, a poca distanza dall’arrivo, rallentano la loro corsa autonomamente. Così se si è abbastanza bravi da tenere la posizione giusta si arriva ben piantati con entrambi i piedi sulla pedana pronta ad accoglierci. Indovinate, però, chi non sapeva tenere la posizione giusta? No, non io! Ma per chi mi avete presa? Che idea vi siete fatti di me? Non sono mica sempre io quella goffa! Ovviamente era il Signor Coso che si faceva tutto il viaggio credendosi la Terra e ruotando su se stesso e arrivando, puntualmente, col sedere parcheggiato sulla pedana. Per lo meno questa volta le carrucole rallentavano, non come nel parco avventura dell’Eur a Roma dove non rallenta nulla e lui si schiantava!

Fatto sta, comunque, che con questa prima carrucola si raggiunge la sorgente del torrente sopra cui si sta facendo gli equilibristi: una cascatella veramente ma veramente bellina. Direi, a essere onesti, che tutto il giro è veramente bellino.

Da qui in poi è un susseguirsi di passaggi da una parte all’altra del canyon. A volte si deve riusare la carrucola, ma altre volte il passaggio avviene tramite passarelle con pedane o ponti tibetani. C’è persino qualche punto in cui c’è il ponte a due cavi, vera prova di equilibrismo secondo me, o la slackline, ossia una fettuccia di tessuto sintetico su cui camminare piuttosto diffusa ma solitamente a pochi metri da terra, come ad esempio la conoscono i ragazzi dello Yosemite Park. Quando invece si prosegue sulla stessa parete si può far affidamento su scalette e staffe.

Sapete qual è il modo migliore per affrontare ponti tibetani, ponti a due cavi e slackline quando si hanno gli scarponi da trekking? Inserendo la fettuccia nell’incavo dello scarpone. O almeno è questo quello che diceva la nostra guida e che faceva istintivamente il Signor Coso. E invece io, da brava ex ginnasta, andavo di punta. Che poi detta così sembro Vanessa Ferrari. Purtroppo no: avrò fatto ginnastica artistica sì e no 2/3 anni quando ero bambina ed ero anche un bel po’ incapace. Però è uno dei pochi sport che ho fatto nella mia vita (l’altro è equitazione, ma mica è facile trottare su un ponte tibetano eh!) e si vede che qualche traccia su di me l’ha lasciata. Così procedevo in questo modo strano – ma giuro che l’equilibrio era perfetto! – lasciando abbastanza perplessa la nostra guida. Era proprio allibito, poverino. E alla fine era anche mortificato: siccome eravamo da soli invece di 2 ore il Signor Coso e io ci abbiamo messo più o meno 30 minuti a fare tutto il giro. Ma che importa? Noi eravamo lo stesso su di giri, e poi non era mica colpa della guida se il nostro gruppo è arrivato solamente quando noi abbiamo finito il circuito. Era un addio al nubilato (per inciso: che idea fica fare l’addio al nubilato al parco avventura!) e le ragazze sembravano tutte un po’ troppo alticce. Non voglio immaginare come sia stato fare il circuito con loro. Quando sono ubriaca io non riesco quasi a stare sulla sedia e loro invece sono andate a buttarsi con la carrucola e a passeggiare su ponti tibetani… beh! Non c’è stata nessuna brutta notizia nei giorni successivi quindi credo proprio che possiamo dire che in vino aequabilitas*.


FonteCanyon Parktutti i diritti di copyright appartengono a chiunque altro abbia la paternità di questa foto; immagine di un pezzo del percorso del parco
* ”Nel vino c’è l’equilibrio” (reinterpretazione della famosa frase latina in vino veritas)


Scheda del parco avventura:


Dove: Bagni di Lucca (Toscana)
Periodo migliore per andare: Primavera/estate
Durata del giro: 2 ore
Sito web: https://www.canyonpark.it/ 


Per fugare ogni possibile dubbio vi informo che la realizzazione di questo post è totalmente spontanea e non ha previsto nessuna retribuzione o accordo precedente con il Canyon Park (al momento della stesura dell’articolo i proprietari o gestori del parco sono per altro completamente all’oscuro di questo post).

venerdì 13 luglio 2018

LA SALITA A PIZZO CEFALONE

LA VOLTA CHE NON CI SIAMO PERSI… MA ABBIAMO PERSO IL RIFUGIO GARIBALDI

Signore e signori… sto per rivelarvi un segreto segretissimo e importantissimo. Rullo di tamburi, prego! Suspance hitchcockiana…
Ho trovato un posto sull’Appennino che ha i cartelli! Giuro! Cartelli, segnavia, sentieri tracciati... tutto l’armamentario! Neanche fossimo sulle Dolomiti. Mi ha quasi commossa. Curiosi di sapere come si chiama questo miracolo divino? Pizzo Cefalone!


Cresta per la via di Pizzo Cefalone

L’avvicinamento alla salita a Pizzo Cefalone


La salita di Pizzo Cefalone inizia da Campo Imperatore (2130m), da quello spiazzo dove arriva a parcheggiarsi la funivia. E se non avete voglia di stare agli orari dell’impianto potete comodamente parcheggiarci anche la vostra macchina, o, se vi chiamate Coppi, Pantani o Girardengo e state correndo il Giro di Italia, la vostra bicicletta.

Il piazzale è uno di quei posti che si fanno notare. Sarà per la meravigliosa chiesetta – che io credo sia la più bella chiesetta di montagna del mondo, chiedo perdono alla Chiesa di Santa Lucia – o per i due hotel che ci sono cresciuti speculari come due alberi che si fanno ombra a vicenda. L’hotel perfettamente parallelo alla chiesetta è ancora in funzione: è un ostello con bagno comune che prima o poi, probabilmente, sperimenterò e con un bar che nel pomeriggio era più pieno di un formicaio. L’Hotel Campo Imperatore, più grande e rosso, è, invece, un rudere imbruttito che promette di farsi ristrutturare, prima o poi, ma che nel frattempo ricorda tanto l’albergo di Shining al punto che non mi sarei stupita, mentre lo guardavo, se ne fosse uscito un Jack Nicholson urlante e ascia munito. E invece niente. Che poi, per inciso, se volete saperlo, Jack Nicholson non credo ci abbia mai messo piede, ma in compenso nel 1943 ci ha “soggiornato” per 14 giorni (alias ci è stato imprigionato) Benito Mussolini prima che i tedeschi lo liberassero.

Noi non siamo qui per dormire, andare alle terme o in piscina (nel nostrano Overlook Hotel sembrerebbe ci siano anche loro) quindi spalle agli agi mondani e via con l’escursione! 


Inizio dell'ampio sentiero che porta a Pizzo Cefalone

La salita a Pizzo Cefalone


Facciamo una premessa necessaria: no! Non ci siamo persi. Davvero! Ripudio qualsiasi affermazione sul Signor Coso e me che vaghiamo persi per raggiungere Pizzo Cefalone. Eravamo soli, senza GPS ubriachi, mappe o amici esperti. L’unico aiuto che ci eravamo concessi era una guida dei 2000 appenninici e i nostri ragionamenti. E sì, alle prime abbiamo un attimo sbagliato strada, ma a nostra difesa è stato solo un momento e totalmente giustificato: la guida stava mentendo!

Guardando infatti verso l’osservatorio, un’imponente struttura che non può passare inosservata, si individua facilmente un sentiero che si dipana a sinistra, lungo la mezzacosta del Monte Portella. La nostra guida, però, ci diceva di superare l’osservatorio prima di incontrare la svolta. Non è vero. Non so da che punto il libro si immaginava che attaccassimo l’escursione, ma vi assicuro che spalle verso l’Hotel Campo Imperatore non è necessario intraprendere il sentiero che superato l’osservatorio prosegue a zig zag fino al Rifugio Duca degli Abruzzi. Quello lo facciamo al ritorno.


Fregati dalla nostra stessa guida siamo dovuti tornare sui nostri passi e senza molta fiducia abbiamo intrapreso il sentiero n. 102 che in un continuo sali e scendi aggira il Portella e regala viste stupende sulla vallata stesa ai piedi di Assergi. Questo è un sentiero ampio e tranquillo che d’estate non dà particolari guai; quindi io me li sono portati da casa. Sapete cosa non dovreste mai fare dopo un primo intervento di devitalizzazione di un dente? Andare sul Gran Sasso, a 2000 metri dal livello del mare, con il freddo e il vento gelato. Non importa quanto proverete a stare in silenzio per non far entrare l’aria fredda in bocca (sfida ardua per me che non sto mai zitta), soffrirete comunque di un mal di denti fastidioso che, a seconda della vostra sopportazione, potrà andare da un livello 0 stile Flanders del tipo “accipicchierina, ho un dolore dolorino” a un livello 100 del tipo “oddio! Strappatemi tutti i denti! Ora e subito!”. Personalmente mi collocavo in mezzo, della serie “toglietemi i denti subito subitino”.

Una volta che il sentiero finisce di aggirare il Monte Portella si raggiunge una sella con i primi cartelli che io per un attimo, obnubilata da Ned Flanders in persona, ho creduto fossero un’allucinazione. In fin dei conti chi lo aveva mai visto un cartello sull’Appennino? Appunto su questi cartelli però: non so perché ma nelle selle indicano che si è in vetta. Non è vero! Una sella è una sella! Non lasciatevi ingannare. 


Cartelli segnavia sul sentiero per la salita di Pizzo Cefalone

Seguendo le indicazioni dei miracolosi cartelli abbiamo ignorato la svolta che ci avrebbe portato nella sottostante Val Maone e, prendendo il sentiero n. 111, abbiamo continuato verso nord/nord-ovest sul lato più esterno della cresta.

La strada era quella giusta e da qui in poi è un susseguirsi di chilometri senza svolte quindi confermo quanto detto all’inizio: non ci siamo persi. In compenso, però, ci siamo persi il Rifugio Garibaldi che a quanto dice tutto il mondo se ne sta bello acciambellato nella Val Maone. Non che noi lo volessimo raggiungere, però il fatto è questo: per tutto il percorso verso Pizzo Cefalone si passeggia su una cresta che dà liberamente sulla Val Maone, che è in sostanza una conca senza alberi o edifici o siepi o qualsiasi altra cosa possa impedire lo sguardo. Quindi, dove diamine si era nascosto il Rifugio Garibaldi? Perché non lo abbiamo visto né all’andata né al ritorno? Manco fosse Wally! Offro ricompensa a chiunque mi saprà spiegare soddisfacentemente dove si fosse nascosto il Rifugio Garibaldi. Si era seppellito? Stava studiando mimetizzazione? Era in vacanza?

Ignari che ci stavamo perdendo il Rifugio Garibaldi abbiamo proseguito superando anche quei brevi tratti in cui il sentiero si fa esposto, stretto e un po’ friabile. D’estate questi tratti sono facilmente affrontabili: nulla che un po’ di attenzione non possa gestire. D’inverno e d’autunno, e se ci penso bene secondo me anche di primavera, sono invece una realtà spinosa e pericolosa. Con ghiaccio, neve o disgelo Pizzo Cefalone mantiene di colpo fede al suo nome che poi, in dialetto, significa scivolone. È per questo motivo che considero Pizzo Cefalone una montagna bipolare: gentile d’estate, pericolosa e ostile in tutto il resto dell’anno. Quindi fatemi un favore e fate come noi: andateci d’estate, col sole e il caldo.

Verso la fine dell’escursione si è obbligati a svoltare a destra per un canaletto detritico un po’ critico, ma che in neanche dieci minuti si supera per raggiungere l’ultimo bivio. Qui si ritrovano i cartelli, ma ricordate cosa vi ho detto? Non crediate che dicano il vero quando affermano che siete in vetta! Da qui, anzi, se si va a sinistra si può percorrere l’esposta cresta di Malecoste che, dopo un lungo trekking, porta alla croce di papa Wojtyla, mentre a destra si sale in poco tempo per la vetta di Pizzo Cefalone. Non fatevi spaventare dalle prime rocce un po’ difficili da superare: dieci minuti e si è in vetta (2533m) dove troneggiano ben due croci.

Se siete fortunati come noi da lassù potrete godervi uno spettacolo mozzafiato: l’intera vallata di Assergi, la Sella del Grillo (o era la Sella Cefalone? Non l’ho capito), il Pizzo Intermesoli, il Corno Piccolo e il Corno Grande del Gran Sasso, il Monte Aquila e il Monte Portella e, un po’ più spostato rispetto agli altri, il Monte Corvo che dicono sia molto selvaggio ma che ha un nome talmente bello che prima o poi ci voglio andare (sì, le mie scelte escursionistiche non sono proprio le più razionali) e lontano il Lago di Campotosto.


Croce sulla vetta di Pizzo Cefalone

La discesa al Rifugio Duca degli Abruzzi (passando per il Monte Portella)


Dopo aver sbranato tutti i panini che mi ero portata dietro, e aver origliato anche troppi discorsi su boy scout, catechismo e messe, il Signor Coso e io abbiamo intrapreso la via del ritorno che, per un buon tratto, si sovrappone a quella dell’andata.

In realtà se si volesse si potrebbe rifare tutta la via di andata fino a Campo Imperatore, ma ci eravamo già persi il Rifugio Garibaldi, perché perderci anche il Rifugio Duca degli Abruzzi? Così, arrivati alla sella del Monte Portella abbiamo abbandonato il sentiero n. 111 in favore del sentiero 100D salendo a sinistra per una ripida cresta che in una mezz’ora ci ha portati alla vetta ovest del Monte Portella (2385m). Qui non c’è croce o madonnina, ma solo un masso di medie dimensioni acciambellato sopra a un cuscino di bandiere variopinte e tatuato con il nome della vetta su cui si trova. Nulla di particolarmente scenico e fino a oggi ho creduto che finisse tutto lì, ma ecco il secondo colpo di scena… ci siamo persi pure la vetta più alta del Monte Portella!

Ebbene sì, dopo le Torri di Casanova ci siamo persi anche il Portella. Dannazione! Poi vi spiego come è capitato. Nel frattempo però sappiate che proseguendo per il sentiero 100D lungo il filo di cresta si arriva in poco tempo al Rifugio Duca degli Abruzzi (2388m). Prima però si passa affianco a un prato pieno di sassi con cui molti si sono divertiti a comporre scritte. Lo abbiamo fatto anche il Signor Coso e io. La mia idea iniziale era scrivere “Pensieri Verticali”, ma vi immaginate quanto ci avrei messo? Così mi sono limitata alla sigla. La foto la metto sulla pagina Facebook se siete curiosi di vederla.

A parte i sassi questo prato dovrebbe, in teoria, essere terra buona per genziane e orchidee che fioriscono tra giugno e luglio. Noi ci siamo stati proprio in quel periodo. Non so come siano le genziane in fiore (le ho viste sempre e solo in bottiglia), ma di orchidee fiorite nessuna traccia. Uguale per camosci e grifoni che a quanto pare frequentano la zona. Che poi sarei stata anche curiosa di vedere come è fatto un grifone; credevo fosse una figura mitologica tipo un gargoyle…

Se volete un buon motivo per raggiungere il Rifugio Duca degli Abruzzi (oltre a questa foto di qualche anno fa del rifugio completamente ghiacciato) ve ne posso dare due: una crostata ai frutti di bosco bestiale e una torta cioccolato e nocciole enorme e squisita! Che volete di più? Non sono buone motivazioni persino per scalare il K2 di inverno? E allora che sarà mai allungare per loro la via del ritorno di questa facile escursione


Panorama dal sentiero di Pizzo Cefalone

Finito di spazzolarci i dolci siamo ripartiti un’ultima volta intenzionati a ridiscendere per lo zig zag che in circa venti minuti riporta a Campo Imperatore. Ovviamente, però, all’inizio abbiamo sbagliato strada così abbiamo fatto cinque o sei passi alle spalle del rifugio lungo la via di cresta che ci avrebbe portato al Monte Aquila, alla direttissima per il Corno Grande e soprattutto alla vetta più alta del Monte Portella (2422m). Ecco dove l’abbiamo persa: quando ridendo siamo tornati sui nostri passi dandoci dei polli per aver sbagliato strada così velocemente… siamo dei polli perché per la seconda volta consecutiva ci siamo persi una vetta! Dannazione!

Chiudiamo con un messaggio di servizio: lungo la strada dal Duca degli Abruzzi a Campo Imperatore abbiamo trovato degli occhiali da sole con lenti specchiate gialle e li abbiamo portati al bar dell’ostello. Sì, sono passate due settimane, ma se tu – proprietario degli occhiali – stai leggendo questo post sappi che gli occhiali sono lì (se nessuno se li è inguattati).

E quindi niente: ecco qui la salita a Pizzo Cefalone, uno dei pochi angoli d’Appennino pieno di cartelli e soprattutto una delle poche escursioni in Abruzzo in cui non ci siamo persi. Ci sarebbe quasi da montarsi la testa, se non rischiassi di perdermi ogni giorno anche sotto casa. 


Segnavia piramidali di pietre sul sentiero per Pizzo Cefalone

Scheda dell'escursione:


Partenza: Campo Imperatore (a piedi)
Arrivo: Campo Imperatore (a piedi)
Difficoltà: E
Durata: 4 ore circa
Dislivello: 450m
Sentieri: 102, 111, 100D
Rifugi: Rifugio Duca degli Abruzzi

Tutte le foto sono del Signor Coso

venerdì 6 luglio 2018

LA PASSEGGIATA ALLA CHIESA DI SANTA LUCIA

LA VOLTA CHE… NIENTE, ERAVAMO STANCHI, CAPITA ANCHE A NOI
Questa settimana sono stanca. Molto stanca. Talmente stanca che mi sono tornati in mente i giorni subito dopo la salita del Vioz. Quelli sì che erano giorni di vera stanchezza. È per questo che alla fine il Signor Coso e io ci siamo trovati a fare la passeggiata alla Chiesa di Santa Lucia. Solo perché il Vioz stanca, eh! Non perché non abbiamo più l’età…

La Chiesa di Santa Lucia vista da Comasine

Il primo tentativo: da Cogolo alla Chiesa di Santa Lucia


Non ricordo precisamente che giorno fosse la prima volta che abbiamo provato a raggiungere la Chiesa di Santa Lucia. So per certo che avevamo fatto già un’altra escursione e che non era troppo tardi, per cui è probabile che fosse il giorno in cui avevamo fatto il giro del Lago Covel. Fatto sta che avevamo ancora abbastanza adrenalina in corpo da far andare le gambe, ma non abbastanza energia (o tempo, se è per questo) per intraprendere qualcosa di serio.

Proprio dietro il nostro bell’albergo di Cogolo, attraversato il fiume, c’era l’attacco della passeggiata che porta alla Chiesa di Santa Lucia. Sì, avete letto bene: passeggiata. Questa non sarà la storia di grandi emozioni o di avventure mozzafiato. Per essere precisi non sarà neanche la storia di grandi tragedie o di schiribizzi comici. Niente di niente signori miei! La via per la Chiesa di Santa Lucia è davvero una passeggiata, per altro lungo una pista ciclabile percorribile veramente da chiunque.

Tutto questo noi non lo sapevamo quel pomeriggio quando cominciammo la salita che da Cogolo porta alla chiesa. Sapevamo che era una passeggiata tranquilla e che non aveva particolare dislivello, ma di fronte alla salita iniziale, abbastanza ripida, e al cartello che giurava che ci volessero 3 ore per arrivare a Santa Lucia abbiamo ceduto e siamo tornati indietro. Ebbene sì, la semplice e quieta passeggiata alla Chiesa di Santa Lucia è riuscita là dove il meraviglioso e arduo Vioz ha fallito: ci ha ricacciato indietro con la coda fra le gambe. Profonda vergogna per noi! 

Vista dalla via che collega Cogolo alla Chiesa di Santa Lucia

Il secondo tentativo: da Comasine a Cogolo


Ci abbiamo riprovato. La testardaggine è la nostra qualità migliore. Altrimenti, poi, non staremmo qui a parlarne no?! Ma siccome il primo tentativo non era andato a buon fine abbiamo cambiato strategia.

La mattina seguente abbiamo preso l’autobus e siamo arrivati a Comasine, un piccolo borgo a circa 3 chilometri e mezzo da Cogolo in passato abitato quasi esclusivamente da minatori (e infatti dalla fermata dell’autobus si potrebbe decidere anche di prendere la via che porta a visitare alcune miniere).

La Chiesa di Santa Lucia trionfa su questo paesino dall’alto di una collina che tradizione vuole sia stata chiamata in passato “Sot castel” a prova che la chiesetta sorge proprio là dove un tempo sorgeva un castello. Sarà vero? E che importa?! A me piace pensare che sia veramente così. Tradizione dice anche che la Chiesa di Santa Lucia è la più antica chiesa della valle e io è già da un po’ che mi chiedo se per valle qui si parli della Val di Pejo, della Val di Sole o della Val di Non. Non avendo buone basi per decidere ho appena fatto ambarabaciccicoccò ed è uscito fuori che è la Val di Non… non mi convince!

Dalla fermata dell’autobus raggiungere la chiesa è molto facile anche perché lo si fa su un’ampia strada asfaltata di circa un chilometro. Quel giorno, però, il sole aveva scambiato l’asfalto per una padella e la mia testa per un uovo all’occhio di bue. Mi stava friggendo viva! E a essere onesti lo faceva già da qualche giorno ormai e anche bene, glielo riconosco: alla fine sono tornata a casa con la riga dei capelli completamente ustionata. E infatti uno dei miei primi acquisti per la nuova stagione escursionistica è stato un cappello con visiera, ma traspirante. Prenditi questo sole! Ora vediamo se riesci a ustionarmi di nuovo!

Visto che quando siamo arrivati alla chiesa ero ormai ben cotta abbiamo pensato di fermarci a mangiare qualcosa sulle panchine di fronte alla chiesetta che, nel corso degli anni, si è un po’ infossata nel terreno come se stesse cercando di fare la talpa ma non le riuscisse troppo bene.

A guardarla da fuori, però, la piccola Chiesa di Santa Lucia (1196 m) fa la sua scena con il campanile romanico, il piccolo cimitero e la sua bella scritta sull’ingresso principale: “Questa chiesa eretta da tempo immemorabile circondata dal portico verso il 1500 che servì da cimitero fino al 1866, fu decorata nell’anno 1940”. Della serie “non sappiamo quando diamine l’abbiamo costruita sta chiesa ma tiè! Spacca da secoli!”. Che poi da documenti riemersi negli anni parrebbe che già nel XV secolo la stessero ristrutturando per cui… niente! È una chiesa antichissima, bisogna stacce! Peccato solo che negli anni Settanta, a causa dei ladri di beni religiosi, è stata svuotata delle sue opere d’arte principali: i tre altari che sono stati spostati nella chiesa del paese (non prima però che qualche buontempone con la mano troppo lesta si fosse già portato a casa qualche souvenir non da poco, eh!). Così nella Chiesa di Santa Lucia resta solo un semplice reliquiario con le reliquie di Santa Lucia e Santa Cecilia. Io non l’ho visto, ma dicono che nonostante la sua semplicità sia un sacco carino e poi, per chi ci crede, resta comunque una cosa importante, brillantini o non brillantini.

Terminata la merenda il Signor Coso e io ci siamo rimessi in cammino intraprendendo il sentiero nel bosco che il giorno precedente ci aveva inquietato già dai primi passi. Ricordate cosa diceva il cartello? Tre ore a piedi… Tre… Mentiva! Spudoratamente pure. Manco fosse un cartello del Sassolungo o di Rocca Calascio! Non c’è voluta più di un’ora, giuro! Bene, ma non benissimo mendace cartello.

La via nel bosco è un sali e scendi morbido e ombreggiato che ogni tanto si scioglie in dei tratti pianeggianti in cui la vista si apre a destra sulla vallata e sul fiume permettendoti di vedere prima Celledizzo e poi Cogolo.

E la passeggiata è finita così, tornando al punto di partenza del giorno prima: una piccola spianata dove gli anziani giocavano a carte (e come ti sbagli) e un paio di karate kid scalzi erano intenti a fare uno strano minestrone di meditazione, pugilato e metti-la-cera-togli-la-cera. E noi? Noi niente. Ci siamo rimessi seduti un altro po’ per riprenderci da tutta quella fatica e poi ce ne siamo andati a riposarci alle terme di Pejo Fonti. Dopo tutta questa infinita camminata ce le eravamo meritate no?!
Ebbene sì questo è l’imbarazzante racconto di tutta la nostra pigrizia post Vioz. Grazie Santa Lucia di averci aiutato a mascherarla da piccola escursione!

Chiesa di Santa Lucia

Scheda dell’escursione:


Partenza: Comasine (a piedi)
Arrivo: Cogolo (a piedi)
Difficoltà: E
Durata: 1 ore e mezza circa
Dislivello: 31m (in discesa)

Le foto sono mie e del Signor Coso