venerdì 21 dicembre 2018

L’EREMO DI SAN DOMENICO, LA CERTOSA DI TRISULTI E L’ABBAZIA DI CASAMARI

LA VOLTA CHE ABBIAMO SCOPERTO CHE LA CIOCIARIA ESISTE - SECONDA PARTE


La Ciociaria si vende male! Questo lo abbiamo già determinato. Tra le Grotte di Collepardo e il Pozzo d’Antullo dovrei già essere riuscita a convincervi che c’è più di un buon motivo per fare una gita in Ciociaria. Però non ho mica finito di raccontarvi tutto quello che c’è laggiù e quindi proseguiamo con l’escursione all’Eremo di San Domenico e le visite alla Certosa di Trisulti e all’Abbazia di Casamari.


Un albero caduta nel bosco della Ciociaria per andare all'Eremo di San Domenico
La via per l'Eremo di San Domenico

L’escursione all’Eremo di San Domenico e la visita al Monastero di San Domenico


Eravamo rimasti con l’abbacchio nello stomaco dopo aver mangiato in un ottimo ristorante ciociaro. Per quanto, però, fosse allettante l’idea di farsi un riposino mentre il nostro stomaco andava a mille per digerirlo, l’orologio della macchina del Signor Coso ci ricordava costantemente che il tempo scorreva inesorabilmente. Nonostante raggiungere Collepardo non sia proprio impossibile da Roma (ci vuole circa un’ora), il mio istinto voglio-vedere-tutto-subito ci ha spinto a rimetterci subito in moto ad andare a caccia dell’eremo che qualche ora prima avevamo bellamente saltato.

Ammetto subito, però, che abbiamo imbrogliato: mentre eravamo a pranzo abbiamo sfruttato il wi-fi del ristorante per tentare di capire dove diamine fosse questo “famoso” eremo. D’altro canto il cartello di legno che avevamo notato prima del pranzo non ci aveva spinto a fermarci quindi ci serviva un piccolo aiutino. Nella realtà, però, il cartello è piuttosto chiaro.

Appena superata la Certosa di Trisulti a destra c’è un vecchio rudere che è tutto quel che resta del Monastero di San Domenico. Alla stessa altezza a sinistra c’è il cartello. Cosa dice il cartello? Eremo di San Domenico. Dove indica? Verso il bosco. Ora, considerando che in qualche misura il Signor Coso e io siamo escursionisti, un cartello di legno che indica verso il bosco dovrebbe dirci qualcosa, no?! Ecco a me non ha detto assolutamente niente la prima volta che l’ho visto; anzi ho proprio detto “ma non potrà mica indicare nel bosco!”. Indicava nel bosco.

Il sentiero per l’Eremo di San Domenico è un delizioso percorso nel bosco curato con un’attenzione che non ti aspetteresti mai da un posto che non sembra avere il minimo interesse per il turismo. L’escursione, se così la vogliamo chiamare, è data per una mezz’ora: 15 minuti per raggiungere l’eremo e 15 minuti per tornare alla strada. Il Signor Coso e io ci abbiamo messo 18 minuti di orologio a salire e scendere. Il fatto che non ci siamo fermati mai a leggere i vari cartelli che si susseguono sul sentiero per raccontare la storia di San Domenico ci ha probabilmente fatto risparmiare molto tempo.


Eremo di San Domenico in Ciociaria
L'Eremo di San Domenico immerso nella vegetazione autunnale
L’eremo è esattamente quello che ci si potrebbe aspettare: una casupola creata direttamente nella roccia, circondata da uno steccato di ultimissima generazione per proteggerla un minimo. L’ingresso dell’eremo è un cancelletto di metallo che purtroppo è ben serrato per impedire che i soliti ladri da quattro soldi si portino via il busto di bronzo del santo che riposa al centro dell’altarino dell’eremo.

L’Eremo di San Domenico nel complesso è carino, ma purtroppo c’è poco da vedere visto che non si può entrare. In compenso il sentiero nel bosco, specie per i colori autunnali delle foglie, è quanto mai suggestivo e fosse già solo per il giallo infuocato degli alberi che lo circondano e che fanno cornice alla Certosa di Trisulti che si vede in lontananza vale la pena salire lassù.

L’Eremo ci era piaciuto ma era durato troppo poco. Eravamo convinti che la Certosa di Trisulti non aprisse prima delle 15.30 ed era ancora presto. Davanti a noi si ergeva quello che resta del Monastero di San Domenico. Ci è sembrato ovvio che la cosa migliore fosse scendere a vedere il monastero da più vicino.

Il Monastero di San Domenico è circondato da rovi, ma se ci si avvicina abbastanza appare evidente che c’è ancora una stradina tra l’erba che permette di arrivare persino a toccare le rocce di pura storia che lo compongono. Il tetto è crollato, la porta sprangata e le finestre più basse chiuse da inferriate, ma arrivare a poter guardare al suo interno con tanta precisione è comunque una bella esperienza. Tra i suoi muri ormai cresce la natura. Qui è là rami, qui e là erba e in qualche punto riuscivo a immaginare dove in primavera crescono i fiori. Era bello. D’altra parte da dove stavo osservando io c’era una finestra senza inferriate. Presi dalla curiosità abbiamo girato intorno all’edificio e abbiamo raggiunto la finestra. Sebbene rispetto all’interno fosse al piano terra, rispetto all’esterno è a qualche metro dal suolo. Niente di eccessivo superava di qualche centimetro di troppo la mia testa. Così mi è venuta un’idea: “mi arrampico!”. D’altro canto le rocce nelle pareti erano frastagliate e sporgenti.

Sì sì lo so. Non sto dando un grande esempio a tutti i bambini del mondo. Arrampicarsi su un rudere in via di crollo… che idea pessima! Ma tranquilli: non l’ho fatto. Non perché non ci abbia provato - ci ho provato, ci ho provato - ma perché con le mani attaccate ai mattoni e un piede già puntato sulla sporgenza più a portata di mano mi sono resa conto che non ce l’avrei mai fatta. Niente! Con ancora un piede ben attaccato al suolo ho esclamato “mi sono sopravvalutata” e ho fatto scoppiare a ridere il Signor Coso. Il mio grande episodio di arrampicata è finito qui. Non c’è nulla da aggiungere. Solo vergogna!

Un angolo della Certosa di Trisulti
La Certosa di Trisulti

La visita alla Certosa di Trisulti e all’Abbazia di Casamari


Per quanto l’eremo e il monastero siano stati belli erano solo un antipasto. La portata principale era la Certosa di Trisulti. Le 15.30 erano ormai arrivate e noi, tutti contenti, siamo entrati per finire solo per scoprire che si poteva entrare solo con la visita guidata e che la visita, d’inverno, iniziava alle 15. Dannazione! Comunque il bigliettaio è stato abbastanza gentile da farci entrare lo stesso e raggiungere il gruppo delle 15.

La Certosa di Trisulti è qualcosa di particolare. Non è una chiesa o un monastero; è un’intera cittadella di sacralità. C’è la piazza, la biblioteca (ora in mano allo Stato e accessibile per motivi di studio), la farmacia, la chiesa, il monastero e diverse fontane. C’è tutto insomma, ma una cosa che non c’è: non ci sono più i frati. Ne è rimasto solo uno, di circa 83/84 anni. Tutti gli altri sono stati portati a Casamari per questione di salute. L’ultimo dei frati (manco fosse l’ultimo dei mohicani) fa ancora messa però, sappiatelo. Lui sì che è un highlander!

Il giro nella Certosa di Trisulti prende circa un’ora e viene fatto da una guida molto gentile. Il nostro gruppo era piuttosto ristretto, non saremmo arrivati oltre le 10 persone, ma mi è parso di capire che sia un numero medio per le visite laggiù. Per altro tre ragazze che erano nel gruppo ci sono rimaste malissimo perché erano lì per il presepe ma non era ancora l’8 dicembre, giorno in cui il presepe viene inaugurato. Il Signor Coso e io di presepi non ne sapevamo nulla quindi siamo stati felici lo stesso. Insomma se non fosse stato per il bigliettaio-guida del Pozzo d’Antullo neanche ci saremmo passati per la Certosa, figurarsi se potessimo avere pretese.

Comunque che fossimo lì per sbaglio credo che ci si leggesse in faccia perché anche una signora del nostro gruppo (non la guida, ci tengo a specificarlo) ci ha tenuto a darci indicazioni su cosa e come avremmo dovuto visitare in Ciociaria. Di solito io sono socievole come un porcospino chiuso; cioè davvero pungo se ti avvicini quindi… che hanno i ciociari? Sono davvero così socievoli o gli manca il senso pungiglioni-da-porcospino-in-avvicinamento? In ogni caso sono contenta che la signora ci abbia parlato, altrimenti non avremmo mai scoperto che a Collepardo c’è l’erboristeria di uno dei migliori maestri erboristi d’Europa e che alla farmacia dell’Abbazia di Casamari vendono un cioccolato fantastico. Abbiamo provato uno di questi due consigli? No! Ma questo che c’entra?

Finito il giro della Certosa di Trisulti avevamo ancora un po’ di tempo per andare a vedere l’Abbazia di Casamari prima della messa delle 18.00. Così, contro il parere di tutti ci siamo avviati rapidamente laggiù. In soli 45 minuti abbiamo raggiunto Casamari (sopravvivendo anche a una curva veramente parabolica che sta poco dopo la Certosa), ma il sole non era più dalla nostra parte: era quasi del tutto tramontato.

Vi posso assicurare che l’Abbazia di Casamari è meravigliosa anche seminascosta dalla penombra dell’imbrunire. Si stagliava potente contro l’oscurità al di sopra della sua larga scalinata. Il suo interno, bianco, candido e immacolato, sembrava la costruzione mastodontica e al tempo stesso delicata della pace. Ogni turista si muoveva silenziosamente al suo interno. In un angolo un prete era impegnato a confessare un fedele. Anche noi ci muovevamo con circospezione e meraviglia.

Non siamo rimasti a lungo nella chiesa, forse un po’ per suggestione forse solo perché volevamo finire di vedere tutto. L’Abbazia di Casamari è un po’ come la Certosa di Trisulti: una cittadella di sacralità. Solo che è liberamente visitabile al punto che al suo interno c’è anche un Museo di arte antica. L’ingresso costa solo 1 euro, anche perché è composto solo da tre piccole stanze. Nonostante questo è veramente interessante e per un appassionato di archeologia immagino sia un’ottima tappa. Il Signor Coso e io siamo rimasti piacevolmente colpiti dalle zanne di un elefante antico che poi dovrebbe essere lo stesso tipo che se ne sta bello raccolto nel Museo di Casal de’ Pazzi a Roma. Noi però non avevamo mai visto qualcosa del genere. Tutto molto bello! Peccato solo non aver potuto vedere di più. Comunque resta un fatto: la Ciociaria è meravigliosa, ma veramente poco capace a raccontarsi! 

Chiostro dell'Abbazia di Casamari nel tramonto
Il chiostro dell'Abbazia di Casamari
Tutte le foto sono mie e del Signor Coso

venerdì 14 dicembre 2018

LE GROTTE DI COLLEPARDO E IL POZZO D’ANTULLO

LA VOLTA CHE ABBIAMO SCOPERTO CHE LA CIOCIARIA ESISTE – PRIMA PARTE


Non pensavo che avrei scritto mai un articolo sulla Ciociaria. Questo è un blog di trekking in fin dei conti: cosa c'entra la Ciociaria? Eppure un paio di weekend fa ho fatto una mezza escursione in Ciociaria e quindi come potevo resistere alla tentazione di raccontarvela? Che stavo facendo in provincia di Frosinone? Ero andata a vedere le Grotte di Collepardo e il Pozzo d’Antullo, ma non mi sono fermata lì.


Torrente cristallino in Ciociaria, a Collepardo
Torrente che passa sotto il Ponte dei Santi, a Collepardo in Ciociaria

La visita al Pozzo d’Antullo e alle Grotte di Collepardo


D’inverno, per varie questioni che non sto qui a elencarvi, non capita spesso al Signor Coso e a me di avere un weekend libero. Quelle rare volte tutto si riduce a una questione essenziale: non sprecare l’occasione! Per questo motivo, due settimane fa, quando il Sacro Graal del calendario ci è capitato in dono dovevamo assolutamente fare qualcosa, andare da qualche parte. E cerca tu che cerco anch’io il Signor Coso si è imbattuto nelle Grotte di Pastena in Ciociaria. A guardare le immagini ci sembravano dei veri capolavori naturali. Siamo stati giorni a rimirarcele online e alla fine abbiamo deciso: saremmo andati alle Grotte di Collepardo, che non sono quelle di Pastena e non ci sono neanche vicine. Che ci volete fare? Ci piace stupire!

Per raggiungere Collepardo da Roma è sufficiente prendere l’autostrada e uscire a Ferentino seguendo poi le indicazioni per Alatri e Collepardo, appunto. In un’ora e 130 chilometri si è lì. E questa è una cosa che mi fa impazzire: tra un po’ in un’ora non si arriva neanche a Ostia partendo da Roma Nord però si raggiunge Collepardo, un meraviglioso borghetto medioevale in Ciociaria. Ma dimmi tu!

La nostra prima meta era il Pozzo d’Antullo, nella parte superiore del paese. Se all’inizio avevamo timore di non trovarlo la moltitudine di cartelli turistici ci hanno tranquillizzato immediatamente. In poco tempo eravamo lì. Il bello/brutto della Ciociaria è il fatto che non ci sia nessuno. In tutto il giorno avremo incontrato sì e no venti persone. Davvero gente: ma non ci vive nessuno in Ciociaria? Non mi lamento eh! Viaggiare è più piacevole senza traffico, ma era surreale. Per altro la mancanza di esseri viventi ci ha fatto pure mancare il parcheggio gratuito di fronte al Pozzo. Non perché non sia segnalato (c’è un bel grande e chiarissimo cartello a indicarlo), ma perché non c’era assolutamente nessuna macchina e sembrava solo una piazzola ghiaiosa al margine della strada.

Se il parcheggio era vuoto il Pozzo d’Antullo non era meglio: c’eravamo solo noi. Strana cosa perché il Pozzo d’Antullo è la voragine carsica più grande d’Europa: quasi 300 metri di circonferenza per circa 70 metri di profondità. Insomma non c’è qualcosa di simile a lui da queste parti e il biglietto per girargli intorno (ché non è possibile scendere all’interno) costa solo 2 euro!

Guardare questa grotta collassata su se stessa toglie il fiato. Nella parte superiore sono ancora visibili tutte le stalattiti tipiche di queste formazioni, mentre nella parte inferiore c’è una vegetazione che quasi neanche la Foresta Amazzonica. A quanto ci ha raccontato il bizzarro bigliettaio-guida in passato fra quella vegetazione i locali ci lasciavano pascolare conigli e capre-pecora per mesi, calandoceli dall’alto



Pozzo d'Antullo
Pozzo d'Antullo 
Se siete rimasti colpiti dalla faccenda dei conigli e delle capre-pecora sappiate che vi siete soffermati sulla cosa sbagliata. Avreste dovuto notare il fatto che il bigliettaio-guida era bizzarro. Come guida onestamente non era un granché (e sembrava pure sorpreso che noi fossimo lì) però aveva la vocazione dell’organizzatore turistico e in un impeto di ospitalità ci ha pure offerto caffè e caramelle. Ma non è ancora il tempo di parlare delle caramelle: teniamole da parte.
Il nostro piano iniziale era Pozzo d’Antullo + Grotte di Collepardo + Abbazia di Casamari, ma il nostro simpatico bigliettaio-guida trovava inaccettabile questo piano e ci ha proposto un’alternativa: Pozzo d’Antullo + Grotte di Collepardo + Certosa di Trisulti + Capo Fiume, che poi è un ristorante. L’idea ci ha incuriosito, ma non sapevamo ancora cosa fare. Nel dubbio, comunque, abbiamo proseguito la nostra strada verso le Grotte di Collepardo.

Per raggiungere le grotte abbiamo riattraversato il paese e preso a destra sulla via principale, scendendo verso la vallata del fiume. Lì c’è l’ingresso delle grotte che, in passato, erano conosciute anche come le Grotte della Regina Margherita, in onore di Margherita di Savoia che le andò a visitare.

L’ingresso alle grotte costa solo 5 euro se si è in possesso del biglietto del Pozzo d’Antullo. In alternativa con il biglietto intero delle grotte si può visitare il pozzo gratuitamente. Insomma two is megl’ che one! Se non fosse che abbiamo avuto la vaga sensazione che la guida delle grotte odiasse il bigliettaio-guida del pozzo, si potrebbe quasi dire che sono tutti una gran bella famiglia.

Le Grotte di Collepardo non sono grandissime, ma sono molto particolari. Prima di tutto perché il loro ingresso è immenso, non stretto e angusto come è di solito quello delle grotte, e poi perché invece di scendere qui si sale. Ebbene sì: noi saliamo anche quando andiamo sottoterra!

Le grotte sono composte da due sale, ma solo una è visitabile: nell’altra ci sono ben 5 specie di pipistrelli che di questo periodo dormono. Piccola parentesi animalista: ho scoperto che stiamo uccidendo i pipistrelli. Volete sapere come? Tentando di ammazzare le zanzare. Noi proviamo ad avvelenarle e loro sopravvivono, poi però i pipistrelli se le mangiano e – zac! – ci restano secchi. Nel caso stiate pensando che non vi importa… i pipistrelli mangiano 20.000 zanzare a notte. 20.000! 20.000, signori! Immaginate quanto vivremmo una vita più zanzare-free se non stessimo avvelenando i pipistrelli.
Le Grotte di Collepardo sono un susseguirsi di stalattiti e stalagmiti dalle forme più varie. Ho visto vecchi, amanti e grifoni di calcare. In alcuni punti erano anneriti dalla luce del sole che riesce ad entrare, in altri erano ancora bianchi e promettenti di nuova crescita.
Ingresso alle Grotte di Collepardo
Grotte di Collepardo

Il Ponte dei Santi e Capo Fiume, il ristorante vuoto ma pieno


Terminata la breve visita alle Grotte di Collepardo dovevamo decidere. Che fare? La Certosa di Trisulti sembrava bella e di certo non era lontana. Ci tentava molto, così abbiamo deciso di andarci a dare un’occhiata. Era quasi l’ora di pranzo.

Quando siamo arrivati ovviamente le porte erano ben sprangate. Ma che fortuna! Almeno, però, sull’uscio c’erano gli orari della visita guidata, ossia l’unico modo di entrare. La prima visita a quel punto era alle 15.30 (avremmo poi scoperto che quello era l’orario estivo e che quello invernale è invece le 15. Dannazione!). Avevamo qualche ora da occupare. Là vicino doveva però esserci un eremo. Perché non provare a visitarlo? Cosa facile se quella domenica non avessimo deciso di saltare tutti i cartelli che vedevamo. E niente: l’eremo è ben segnalato ma noi abbiamo tirato dritto. Cavolo!

Il lato positivo di mancare la meta è che ogni tanto si arriva altrove. Noi siamo arrivati al ristorante Capo Fiume, che poi era il ristorante che ci aveva suggerito il bigliettaio-guida. Capo Fiume è un ristorante sulla riva del fiume, il che fa sì che il suo nome non sia molto creativo ma certamente adatto. Accanto a lui un ampio parcheggio di ghiaia contava più macchine di quante ne avessi viste fino a quel momento in tutta la Ciociaria. Prometteva bene! Così alla fine ci siamo fidati e abbiamo parcheggiato anche noi. È allora che è cominciata la situazione strana.

Il parcheggio era pieno. Il ristorante invece era vuoto. Vuoto, gente! E quanto dico vuoto intendo che non c’era nessuno, neanche i camerieri. Anzi a essere onesto non c’era neanche il ristorante. C’era solo un corridoio con un bancone senza dietro nessuno. Punto. Sul bancone invece c’erano le caramelle, le stesse del Pozzo. Col mio fare da Sherlock Holmes l’ho notato subito e mi sono fatta una mia teoria: Capo Fiume è il ristorante del bigliettaio-guida! La teoria che invece non avevo era quella su dove fossero tutti e dove fosse finito pure il ristorante. Il Signor Coso e io ne abbiamo parlato, mentre eravamo lì, ad alta voce… nessuno è venuto comunque. A un certo punto abbiamo cominciato anche a fare le vasche nel lungo corridoio finendo quasi a casa di qualcuno. Non sapevamo che fare.

Quello che è importante che voi sappiate è che lungo tutto il corridoio c’erano delle porte blindate. Ed è proprio da una di questa che è spuntata fuori, alla fine, una signora che, dopo averci guardato un po’ perplessa, ha capito cosa eravamo: clienti. Così ci ha accompagnato dietro un’altra porta blindata e… magia! Eccolo finalmente il ristorante ed ecco i commensali! Cioè manco il binario 9 e ¾ emoziona tanto! Ciò che però non c’era era la mia sedia nel tavolo che avevamo scelto, ma non temete: me ne hanno data una alla velocità della luce.

Ora io spoilero subito: ho amato Capo Fiume! Però è veramente un posto strano. Perché? Beh, i motivi sono tanti:

  1. Non hanno il menu, ma in compenso la cameriera ha pensato bene di chiedere a noi, perfetti sconosciuti, cosa volessimo senza dirci prima cosa ci fosse da mangiare
  2. Nonostante non avessimo preso un antipasto ci hanno portato bruschette e formaggi quasi stupendosi del nostro debole tentativo di rimandare indietro il piatto. Era un omaggio e noi ci abbiamo messo un attimo per capirlo
  3. A fine pasto, dopo aver rifiutato dolce, frutta e caffè e aver chiesto il conto, ci siamo sentiti rispondere “va bene vi porto dei cantucci!” e l’hanno fatto davvero. L’ho già detto che li amo?
  4. Coperto + acqua di fonte + due abbacchi che si scioglievano in bocca e che ci hanno riempito neanche fossimo delle piñata + patate per un esercito + bruschette e formaggi nell’attesa + cantucci rigorosamente offerti = 22 euro in due scontati a 20 euro perché… boh! Perché vogliono andare in perdita? Non lo so ma è stato meraviglioso!
Insomma il posto più strano del mondo ma il bigliettaio-guida ci ha dato proprio un buon consiglio. Che poi il ristorante è accanto al Ponte dei Santi, un vecchio ponte erboso e suggestivo che però non si nota subito e infatti noi abbiamo preso la macchina per uscire dal parcheggio e fermarci due metri più in là. Niente, quella domenica non avevamo proprio alcun senso!

Una volta con lo stomaco pieno, però, era il momento di rimettersi in cammino. Mancavano ancora tante cose da vedere: l’Eremo di San Domenico, il Monastero di San Domenico, la Certosa di Trisulti, l’Abbazia di Casamari… Ma di questo vi racconto la prossima settimana. Prima fatemi digerire l’abbacchio.

Ponte dei Santi
Ponte dei Santi, vicino al ristorante Capo Fiume
Tutte le foto sono mie e del Signor Coso 
Discalimer: il ristorante non mi ha pagato per questa recensione, non sa che l'ho fatta e con ogni probabilità non sa neanche dell'esistenza di questo blog. Semplicemente il posto era fantastico e mi andava di dirlo.

venerdì 7 dicembre 2018

LA SALITA ALL’HOHER BURGSTALL

LA VOLTA DELLA NOSTRA PRIMA SEVEN SUMMIT NELLA STUBAITAL


Ci eravamo lasciati sulla soglia del Sennjoch Hütte, nella Stubaital in Austria, in piena contemplazione dell’immediata salita sulla vetta di una Seven Summit. Non una qualsiasi Seven Summit, ma la più bassa delle Seven Summit (vi aspettavate qualche altro record per caso?)! E visto che dopo una settimanella confido che il fiato lo avremo recuperato ormai, è ora di iniziare la salita all’Hoher Burgstall

Il sentiero di mezza cresta per raggiungere l'Hoher Burgstall
Il sentiero di mezza cresta di ritorno dall'Hoher Burgstall 

La salita all’Hoher Burgstall


Da Sennjoch Hütte (2225 m) la direzione per l’Hoher Burgstall non è propriamente indicata, ma più o meno è l’unico sentiero che si nota davvero quindi… confido che se non mi sono persa io non lo farà nessuno!

Ovviamente, siccome ci siamo riposati anche troppo e perciò non meritiamo alcuna clemenza da parte del destino, l’inizio della salita all’Hoher Burgstall è, essenzialmente, una salita. E chi se lo aspettava! Purtroppo, però, è una salita decisamente fastidiosa, una di quelle che mi piace definire come “assassina”, che più o meno potete tradurre con un più modico “impegnativa” (ma non rende l’idea, io ve lo dico!).

Dopo non molto, comunque, si raggiunge un bivio che non fa diminuire la salita, ma per lo meno fa comparire un chiaro segnale su dove bisogna andare per raggiungere la vetta che, però, è ancora lontana dall’arrivare. Tra le altre cose, per altro, a questo primo bivio vi è il memento di un alpinista che ormai un po’ di anni fa salì sull’Hoher Burgstall in pieno inverno. Si chiamava Edmund Hillary, ossia il tipino che ha conquistato l’Everest: un nome da poco insomma. Al bivio se si andasse a sinistra si raggiungerebbe, tramite un sentiero che almeno da lì sembra in quota, un rifugio ignoto. Non ignoto perché è ignoto, ma ignoto perché né io né il Signor Coso riusciamo a ricordarci come si chiamasse. Nomi tedeschi… se non vai in un posto finiscono per scomparire completamente dalla memoria. A destra, invece, c’è l’ennesima salita che, come da copione, porta all’Hoher Burgstall; quindi tutti a destra!

Per fortuna dopo poco la salita si trasforma in un sentiero in quota e da qui in poi, lo ammetto, l’Hoher Burgstall e io abbiamo iniziato una relazione neanche troppo clandestina. Era amore! Non quanto ce n’è tra me e il Vioz  o con il Prena, ma comunque un bel po’ d’amore. Purtroppo ogni rosa ha le sue spine e ogni Hoher Burgstall ha la sua ortica. Ebbene sì: c’era ortica ovunque! A destra? Ortica! A sinistra? Ortica! Davanti? Ortica! Indietro? Ortica! Sotto? Ortica! Sopra? Ortica! Insomma ovunque ortica. L’Hoher Burgstall era ortica! Dite che sto esagerando? Okay, è vero: sopra non c’era l’ortica… c’era una roccia sporgente con l’indicazione della direzione da seguire dipinta bellamente sul suo soffitto. Che poi io mi sono sempre chiesta: ma quello è un sentiero di mezza costa, dove posso andare se non sempre dritta per dritta? Va beh! Andiamo avanti. 


Vista dalla vetta dell'Hoher Burgstall
Vista dalla vetta dell'Hoher Burgstall
Terminato il sentiero in quota inizia di nuovo una breve salita a zig zag che porta a una sella tra l’Hoher Burgstall e il Nieder Burgstall. Qual è la differenza tra i due? Il primo è una seven summit a sinistra della sella, il secondo è un bel monte a destra, con una croce carina o almeno così sembrava dalla sella: il Signor Coso e io non siamo saliti sul Nieder Burgstall né all’andata né al ritorno. 

Nonostante il Nieder Burgstall sembrasse piuttosto frequentato, la maggior parte delle persone impegnate a fare trekking nella Stubaital, e più specificatamente in quella sella, quel giorno sembravano intenzionate soltanto a tentare la salita dell’Hoher Burgstall. Tra loro c’era anche un gruppo di Nordic Walking chiamato “le lumache che non si fanno da parte”. Prima regola del codice delle “lumache che non si fanno da parte” è fare traffico ovunque, anche sui sentieri di montagna, anche sull’Hoher Burgstall. L’unico motivo per cui il Signor Coso e io non siamo ancora dietro di loro è perché poi, in realtà, non puntavano alla vetta dell’Hoher Burgstall. Arrivati alla base del massiccio hanno bellamente ignorato entrambe le strade verso la cima e si sono allontanati quietamente in fila indiana. Ciao, ciao lumache!

Alla base del massiccio dell’Hoher Burgstall si dipartono due strade per la vetta: una più tranquilla a sinistra di circa 40 minuti e una un po’ più sfidante a destra di circa 30 minuti. Il Signor Coso e io siamo andati a destra. Così dopo un primo zig zag in salita tra i sassi ci siamo imbattuti in un ultimo tratto di sentiero attrezzato che ci ha divertito alquanto. Per poterlo superare è stato necessario fare una mezza arrampicatina che ha più o meno fregato in pieno la famigliola che ci veniva dietro (loro l’avevano già vista male nel mare di ortica…).

Il sentiero attrezzato non finisce sulla vetta ma alla sua base, ma da qui bastano 5 minuti di facile salita per raggiungere la vetta dell’Hoher Burgstall (2611 m) e quando ci siamo arrivati noi era anche una vetta piuttosto deserta. A proposito: grazie mille sconosciuto tedesco che non capirai mai questo articolo (visto che probabilmente non parlerai italiano) e che ci hai dato la dritta di salire rapidamente in vetta finché era ancora presso che libera.


Vista dalla vetta dell'Hoher Burgstall
Vista dalla vetta dell'Hoher Burgstall

La discesa dall’Hoher Burgstall


Se mi chiedete cosa ricordo della vetta dell’Hoher Burgstall la risposta è semplice: tutto il cibo che abbiamo mangiato lassù. Praticamente ci siamo divorati qualsiasi bene di conforto avessimo con noi. Poco ci mancava che mi mangiassi il Signor Coso. Non l’ho fatto giusto perché era improbabile che bastasse a saziarmi (e per la cronaca: non è che il Signor Coso sia piccolo, solo che la mia fame era di più). Terminato il cibo, quindi, non ci resta che una sola cosa da fare: ridiscendere.

Abbiamo intrapreso la discesa a sinistra prendendo il percorso che a salire avevamo ignorato. È una discesa tra la ghiaia quindi se per caso avete ginocchia farlocche come le mie vi consiglio di mettervi un tutore. Che poi a un certo punto spunta pure un cavo, ma è soltanto un sentiero attrezzato: non fatevi strane idee. Quello che si era fatto idee strane era il Signor Coso che per un attimo si è creduto Tania Cagnotto è si è buttato ad angelo su una roccia, schiantandosi malamente. Lui dice che in realtà è stata colpa del cavo lasso però… sembrava così tanto un tuffo ad angelo…

Raggiunta, più o meno, la quota della sella il cavo finisce e compare un bivio: a destra si può raggiungere il rifugio ignoto di prima, a sinistra invece si prende un sentiero in quota che conduce al bivio del massiccio dell’Hoher Burgstall. Da qui in poi la via di discesa è la stessa di salita.

Volete sapere come abbiamo chiuso la giornata? Con un pranzo al Sennjoch Hütte, ovviamente! Io mi sono presa una deliziosa zuppa di funghi, se siete in zona ve la consiglio, mentre il Signor Coso avrà preso il quindicesimo wurstel della vacanza. Praticamente stava diventando un wurstel vivente! Forse è per quello che il cagnolino del rifugio si era completamente innamorato di lui ed è arrivato persino a leccarlo. Anche se c’è da dire che i cani innamorati di lui non sono stati pochi negli anni, nonostante lui non faccia assolutamente nulla per attirarli.

Dopo un pranzo rapido, comunque, siamo fuggiti dal cagnolino e abbiamo raggiunto di nuovo la funivia Schlick2000 (2136 m) che ci ha riportato a Fulpmes. E così ci siamo lasciati alle spalle la nostra prima Seven Summit e devo dire la verità: sono contenta che sia stata proprio la Hoher Burgstall: bella, sfidante eppure non esagerata. 


Le montagne che circondano l'Hoher Burgstall
Le montagne che circondano l'Hoher Burgstall

Scheda dell’escursione:


Partenza: Sennjoch Hütte (a piedi)
Arrivo: Fulpmes (funivia)
Difficoltà: EE
Durata: 5 ore e mezza circa
Dislivello: 500mt
Rifugi: Rifugio Sennjoch Hütte

Tutte le fotografie sono mie e del Signor Coso

venerdì 30 novembre 2018

L’ESCURSIONE AL RIFUGIO SENNJOCH HÜTTE

LA VOLTA DELLE SCUDISCIATE DEL SOLDATO


È da un po’ di tempo che non vi racconto un’escursione. Per questo ho pensato di ripartire da una di inaspettata bellezza: la mia prima escursione su una Seven Summit, nella Stubaital. Sto parlando dell’escursione al rifugio Sennjoch Hütte, da cui è poi possibile intraprendere la salita sull’Hoher Burgstall, la più piccola delle Seven Summit ma non per questo meno bella. 


Panorama all'arrivo dello Schlick2000
La vista della Schlick2000 al suo arrivo

L’arrivo alla piattaforma panoramica Stubai Blick


Il giorno dell’escursione al rifugio Sennjoch Hütte non era la prima volta che tentavo di prendere la funivia Schlick2000, al termine della quale ha inizio l’escursione. Il Signor Coso e io avevamo già provato a prenderla appena arrivati in Austria. Dopo un’oretta di riposo nel nostro appartamento, ché dopo otto ore di viaggio era il minimo, abbiamo fatto un salto a Fulpmes per prendere la funivia e andare alla Stubai Blick, la piattaforma panoramica forse più nota della valle. Ovviamente però l’oretta di riposo era un’oretta di troppo: siamo arrivati che la funivia chiudeva. Maledizione!

Visto il buco nell’acqua di qualche giorno prima il piano era semplice: prima di raggiungere il rifugio Sennjoch Hütte e da lì intraprendere la via per la vetta dell’Hoher Burgstall avremmo fatto un salto alla Stubai Blick. Purtroppo per noi, però, l’idea era venuta in mente anche a metà valle. Alle 9, appena la funivia ha aperto le porte, c’era già abbastanza gente da costringerci a condividere il nostro piccolo abitacolo da 6 passeggeri con 4 tedeschi. 4! 4 loro e 2 noi facevamo 6. Sapete invece cosa non facevamo? Respirare! O almeno io non respiravo. Prendevo solo fuoco e quasi collassavo per il caldo. A un certo punto, intrappolata in quella gabbia di vetro e fiamme infernali, ho contemplato anche l’idea di forzare il finestrino e buttarmi di sotto. Sì sarei morta, ma volete mettere quanta aria fresca avrei trovato mentre precipitavo? E poi lo dice anche Cassel ne La Haine: “il problema non è la caduta, ma l’atterraggio”.

Contro ogni previsione, però, non ho abbandonato l’abitacolo e, stringendo i denti, sono riuscita ad arrivare ancora viva alla fine della funivia a 2300 metri circa. Mi meriterei quasi un applauso.

A questo punto il peggio era passato: dall’uscita della funivia, prendendo a destra, in circa 10 minuti si raggiunge tramite un facile sentiero in quota la Panoramaweg Stubai Blick, una piattaforma a mio parere molto più bella della piattaforma Top of Tirol che avevamo visto pochi giorni prima. Soprattutto quello che la Stubai Blick ha e Top of Tirol no è un sentiero decisamente sui generis: panchine-statue di tutti i tipi (una di pietra, una a forma di cuore, un dondolo-seggiovia, due brutte cose di metallo sostenute da chele, che poi dovrebbero essere due noci sostenute da mani, etc.) si susseguono una dopo l’altra fino all’arrivo alla piattaforma. Per tutto il tempo io mi sono posta una sola domanda: ma perché? Ancora non l’ho capito. Davvero è questo quello che cerca chi fa trekking in Sud Tirol?

La bellezza della Stubai Blick è costituita soprattutto dalla sua triplice vista grazie alle tre sporgenze della piattaforma panoramica. E, ovviamente, tre sporgenze ma quanti angoli dove farsi mezza foto? Nessuno! L’ho già detto che c’era una bolgia che neanche l’Apple Store all’uscita dell’ultimo Iphone?

Piccola parentesi d’obbligo sulla Stubai Blick: proprio qui si può leggere la storia delle streghe della Stubaital e di come Fulpmes fuggisse il loro temporale e salvasse il suo raccolto suonando la campana e spingendo così il temporale sul paese vicino (un po’ infame questo Fulpmes se volete la mia!) e di come il paese vicino abbia tentato, senza successo, di corrompere Fulpmes per farlo smettere di suonare sta benedetta campana. E io mi chiedo una sola cosa: ma perché i vicini non si sono fatti pure loro una campana? Ma pure un campanello per lo meno. Bah!


L'inizio in salita del sentiero vero la piattaforma panoramica Stubai Blick
Il sentiero vero la piattaforma panoramica Stubai Blick

La salita sul Gipfelkreuz


La Stubai Blick è una strada senza uscita quindi per fare qualsiasi cosa bisogna tornare sui propri passi, lungo il sentiero 10, e raggiungere di nuovo la funivia.

Da qui si potrebbe intraprendere subito la strada per il rifugio Sennjoch Hütte e avrebbe anche senso perché a conti fatti la salita all’Hoher Burgstall non è proprio rapidissima. Se però siete masochisti o semplicemente vi credete Speedy Gonzales come noi potete decidere di concedervi un’altra piccola svolta e prendere il sentiero 3 che porta dritto per dritto a Gipfelkreuz. Cosa significa Gipfelkreuz è presto detto: Pizzo Croce. E indovinate cosa c’è in cima al pizzo? Un unicorno! No, scherzo, quello giusto in ufficio da me. Una croce, ovviamente!

Non immaginatevi Gipfelkreuz come chissà che montagna gigantesca. È piuttosto una piccola montagnola non troppo alta. E infatti la salita per arrivare in cima è davvero breve, ma pendentissima, ve lo assicuro! La peculiarità vera di questa salita (ebbene sì! Una particolarità doveva esserci pure qui) è che parrebbe che l’intero sentiero sia incastonato in un giardino botanico. Dico “parrebbe” perché in realtà io non è che abbia visto un granché di fiori particolari mentre salivo. Sì qui e là ci sono piccoli, piccolissimi fiorellini, un po’ più particolari di quelli di campo, ma nulla che avessi mai associato al concetto di “giardino biologico”. Magari, però, sono solo io che non capisco. 


Comunque sembra che l’intero Pizzo Croce sia votato alla piccolezza: piccola montagna, piccola salita, piccoli fiori e piccola cima dove non ci si entra proprio in più di due e stando vicini vicini. Insomma ho trovato il regno dei Lillipuziani, altro che Gulliver!


Panorama delle montagne della Stubaital dal rifugio Sennjoch Hutte
Panorama delle montagne della Stubaital dal rifugio Sennjoch Hutte

L’escursione al rifugio Sennjoch Hütte


Per ridiscendere da Gipfelkreuz dovrebbe esserci una ferrata. C’è persino un cartello a indicarla, ma il Signor Coso e io non l’abbiamo vista da nessuna parte: né quando eravamo in cima a Pizzo Croce né quando eravamo ai suoi piedi, da un lato o dall’altro. È la ferrata fantasma! E io che credevo che la ferrata di Schrödinger fosse l’Elferkofel!

Noi, comunque, nel dubbio siamo tornati sui nostri passi e ridiscesi verso la funivia per il sentiero 3. Okay che gli austriaci mentono sempre, ma se avessero detto il vero sulla klettersteig? Il Signor Coso e io non avevamo l’attrezzatura, quindi meglio non rischiare.

A questo punto non c’erano più svolte che ci potessero tenere lontani dal rifugio Sennjoch Hütte e quindi abbiamo preso il sentiero 2, un sentiero in quota che sulle prime era quasi piacevole. Il caldo intanto aumentava o per lo meno a me sembrava così. Grondavo sudore e mi sentivo andare a fuoco. La lieve salita che, passando sotto i sostegni per evitare la neve, ci portava avanti era quasi una benedizione per me. Giuro che ho pensato “grazie al cielo che da qui in poi la strada è così”, ma ormai avrete imparato no?! Nel momento in cui penso di essere salva, è lì che la strada si fa difficile!

Come da copione, infatti, a un tratto è iniziata una malefica salita, molto ma molto più faticosa e ripida del lieve pendio precedente, sotto il sole cocente che lentamente ha risucchiato ogni mia energia, ma soprattutto ogni voglia di vivere. Com’è che diceva Cassel? Il problema è l’atterraggio? Ecco! Ero atterrata! E per altro ero finita nel bel mezzo della versione austriaca del Monte Camicia. Maledizione!

Per rendere più “divertente” il lento ma inesorabile rosolare della carne e l’ancora più ineluttabile deterioramento dei nervi, sono comparsi d’improvviso, protagonisti indiscussi della salita, degli arbusti spinosi che, sull’attenti, affollavano il sentiero sia a sinistra che a destra costringendoci a passare in mezzo. La scudisciata del soldato! Giuro! Specie perché io ero con i pantaloncini corti e ogni mezzo passo era un “ahi!” e un salto dall’altro lato dove però, puntuale come un orologio svizzero, trovavo un altro arbusto e di nuovo “ahi!” e salto e così via all’infinito. Alla fine sarei quasi potuta sembrare un cactus gigante. Spine 1, me 0.



La cosa più bella comunque sapete qual è stata? Che quando il Signor Coso ha letto il sottotitolo di questo articolo (La volta delle scudisciate del soldato) mi ha chiesto “quale soldato?”. Il che significa, essenzialmente, che la mia metamorfosi in cactus è passata totalmente inosservata. Sono mortalmente ferita da questa distrazione del Signor Coso. Ero una donna-cactus bellissima! Spinose come me non ce n’è in giro!

Ad ogni modo superati gli spinosi arbusi in poco tempo abbiamo raggiunto il rifugio Sennjoch Hütte dove ci siamo fermati qualche minuto a riprendere fiato (sì, io stavo morendo. Il Signor Coso come al solito mi sbatteva in faccia i suoi mesi di allenamento non mostrando neanche un sospiro in più del solito). Nel frattempo abbiamo controllato il meteo: non volevamo imbatterci in un diluvio universale. Questione importante, perché da qui in poi dovevamo attaccare la via per l’Hoher Burgstall che ho nominato a ripetizione in questa storia, ma che vi racconto la prossima volta. In fin dei conti dopo 40 minuti di escursione (senza contare il sentiero per lo Stubai Blick) un attimo di pausa me lo potrò pure prendere no?! Ecco, una “pausetta” di una settimana e poi vi racconto la mia prima salita su una Seven Summit: l’Hoher Burgstall!


Il rifugio Sennjoch Hutte
Il rifugio Sennjoch Hutte

Scheda dell’escursione:

Partenza: Fulpmes (funivia)
Difficoltà: E
Sentieri: 3, 10, 2
Rifugi: Rifugio Sennjoch Hütte

Le foto sono mie e del Signor Coso

venerdì 16 novembre 2018

4 MODI PER PREVEDERE IL METEO

OSSIA QUALCHE INFO CHE SAREBBE TORNATA UTILE ANCHE A NOÈ


Ci sono un paio di cose che non so fare: leggere l’orologio (ebbene sì!) e capire se 16 gradi vuol dire che farà freddo o caldo. Giuro! Non ne ho proprio idea. Ammetto però che negli ultimi anni sono un po’ migliorata; no, non con l’orologio. Se c’è una cosa, in fin dei conti, che un alpinista deve saper fare è prevedere il meteo per cui un po’ sono dovuta migliorare. Solo un po’ eh! Ma almeno qualche cosa l’ho imparata. Per cui, per tutti i meteorignoranti come me, ecco qui le mie pillole di saggezza da quattro soldi.

Foto di Jplenio, fonte pixabay.com

Saper leggere il bollettino metereologico


La prima cosa che si deve imparare quando si fa trekking è leggere il bollettino meteorologico. L’estate in cui il Signor Coso e io siamo stati in Val Badia il bollettino è stato praticamente il nostro miglior amico. Lo consultavamo ogni giorno per sapere quando saremmo finalmente potuti andare sulla Tridentina e grazie a lui abbiamo evitato di prenderci un paio di diluvi universali.

All’epoca, però, io ero completamente incapace di leggere quel foglietto che giorno dopo giorno ci prometteva di prevedere pioggia, vento e sole con un’esattezza veramente sorprendente. Per fortuna per me, però, c’era il Signor Coso che oltre a saper leggere le mappe (sì, io non so fare granché nemmeno questo) e l’orologio, sa leggere il bollettino. Ma se voi non aveste la fortuna di avere un vostro Signor Coso? D’altro canto non li fanno proprio in serie! Ecco allora un piccolo glossario:

  • la pressione atmosferica è il carico esercitato dall’atmosfera sulla superficie terrestre. L’alta pressione significa bel tempo, la bassa pressione invece meteo instabile
  • il rain rate è la quantità di pioggia che potrebbe cadere in un certo periodo di tempo con precipitazioni di intensità costante. Un rain rate minore di 10 mm/h vuol dire precipitazioni deboli, uno maggiore di 100 mm/h invece promette precipitazioni forti
  • il wind chill e l’heat index indicano la temperatura percepita dal corpo umano in condizioni differenti. La temperatura che noi percepiamo, infatti, non è precisamente la temperatura reale. Ci sono vari fattori che possono farci percepire una temperatura più alta o più bassa. Nel caso del wind chill il malefico colpevole è il vento, in quello dell’heat index è per lo più l’umidità.
Cosa significhi avere a che fare con il wind chill io l’ho purtroppo scoperto sulla mia pelle sul Monte Prena in una giornata in cui faceva veramente freddo, ma in cui soprattutto il vento faceva sembrare tutto ancora più freddo. Un paio di volte ho creduto di star per diventare un ghiacciolo. E, d’altro canto, la contrattura che mi è poi venuta alla gamba ricordava molto un ghiacciolo, quindi forse non ero neanche così lontano dalla verità. Per cui voi che potete fate buon uso dei consigli di un ghiacciolo: informatevi sempre sul meteo e sul vento che ci sarà. Ne va del vostro essere un non-ghiacciolo!


Prevedere il meteo grazie alle nuvole


Mia madre, che è una montanara ma che soprattutto ha sempre molta cura di non fomentare la mia naturale ansia devastante, ogni volta che vado a fare trekking mi ricorda che “in montagna il tempo cambia velocissimamente!”. È il suo dolce modo per ricordarmi che vive nel panico ogni volta che io decido di andare un po’ troppi metri sul livello del mare. Non che la faccia stare meglio quando sto proprio al livello del mare, ma questa è un’altra storia.

Purtroppo per me, ma pure un po’ per voi, ha ragione: la montagna è volubile, un attimo prima c’è il sole e quello dopo ti passa davanti Noè sull’arca (e non ti dà nemmeno un passaggio, il maledetto!). E quindi come fare? L’unica soluzione è stare con il naso all’insù e cercare di prevedere quando arriverà la fine del mondo. Per fortuna un indizio ce lo abbiamo, e no, non sto parlando dei reumatismi di vostra nonna, anche se pure quelli possono essere un ottimo uccellino nella miniera: le nuvole.

Esistono vari tipi di nuvole e ognuno di loro ci dice qualcosa del tempo che stiamo per incontrare. Vi suonano familiari i nomi “cumuli”, “cumulinembi”, “cirri” e “cirrocumuli”? Lo so che state pensando: “diamine! Dove ho messo il libro di scienza della terra di quando andavo alle medie?”. Ve lo dico io: nell’immondizia, con ogni probabilità. Chi l’avrebbe mai detto che c’era dentro un’informazione importante per il trekking eh!? Per fortuna vostra oggi mi sento tanto professoressa delle medie quindi vi rinfresco la memoria, poi però qualcuno mi deve regalare una mela eh!
  • I cumuli sono sostanzialmente quei bei batuffoli di cotone che vi fanno sempre vedere in cielo dinosauri, elefanti e Igor Stravinsky. Se ne stanno sempre nel cielo azzurro perché sono indice di tempo stabile
  • II cumulinembi sono una brutta evoluzione dei cumuli. È quando diventano scuri e si allungano e vogliono dire una sola cosa: a breve ci sarà un temporale, quindi se li vedete mi spiace per voi; 
  • I cirri sono praticamente i corridori del cielo. Vanno più veloce di Bolt, ma a differenza sua hanno la forma allungata di riccioli o fiocchi. Non promettono bene neanche a loro, ma a differenza dei cumulinembi vi danno il tempo di cercare un riparo: il tempo peggiorerà nel giro di 15/18 ore
  • I cirrocumuli… beh! Loro sono facili da spiegare. Sapete come si dice, no?! Cielo a pecorelle, pioggia a catinelle. Ecco! È dei cirrocumuli che si parla, perché loro annunciano pioggia imminente.
Capire come cambierà il tempo guardando le nuvole non è particolarmente difficile. Insomma se ci sono riuscita io sul Col di Lana ci può riuscire chiunque. A parte Noè. A Noè non glielo insegnamo come leggere le nuvole. A lui non va detto niente. Neanche dove si nasconde il dodo, che non lo trova più. Quel maledetto di Noè non ci dà un passaggio? E noi gli facciamo estinguere il dodo, che si sa che è il suo animale preferito!

Prevedere il meteo con il barometro


A dire il vero esiste da tempo anche un piccolo strumento fatto ad hoc per prevedere il meteo. Stiamo parlando del barometro, uno strumento in grado di registrare le variazioni della pressione atmosferica. Ci sono diversi aggeggini tecnologici (orologi, GPS etc.) che ormai lo hanno integrato, quindi forse un barometro vero e proprio non lo avete mai visto. Comunque se vi capita di doverlo leggere la regola generale è: se la pressione sale il tempo sarà buono, se la pressione scende si avrà cattivo tempo in un modo o nell’altro. Questo perché le masse di aria più fredda si spostano verso il basso, creando zone di alta pressione (le famose “anticicloniche”) e portando quindi il bel tempo, mentre l’aria più calda tende a salire creando zone di bassa pressione (le “cicloniche”) e causando il maltempo. Facile no?! Sono quasi sicura che anche questa roba ce l’hanno insegnata alle medie, ma io non me la ricordavo più, non so voi.

I migliori siti per vendere il meteo


C’è poi un’ultima opzione da considerare per conoscere il meteo: i siti web! O anche le app se preferite. Insomma il caro vecchio web e la cara vecchia tecnologia. Perché se Noè è un raccomandato con suggerimenti dai piani alti anche noi possiamo scoprire qualcosa senza faticare troppo.

I suggeritori che preferisco io sono:
  • 3BMETEO, un sito molto affidabile che mi ha saputo dare ottime previsioni sia in Italia che in Svizzera e Austria
  • ILMETEO, un sito e un’app a cui mi affidavo prima di scoprire 3BMETEO e che nel complesso non è male
  • METEOAM, il servizio meteo dell’Aeronatutica Militare che sbaglia di rado
Nonostante la mia ossessione per il tre vi aggiungerò un ultimo sito meteorologico perché è un’ottima fonte da prendere davvero in considerazione: METEOTERAMO.IT, una fonte affidabile per chi fa trekking sul Gran Sasso perché dà anche il clima in vetta. Qualche volta sbaglia, ma nel complesso non è male.

Foto di Paul Gilmore, fonte Unsplash
Ecco qui tutti i miei consigli da quattro soldi. Non saranno tanto, ma è più di quello che vi offrirebbe Noè: lui sa solo costruire un’arca che poi parcheggia pure in vetta a una montagna. Ma dimmi tu se si può considerare okay come modo di scalare!