Non tutte le vie ferrate sono lunghe e difficili. Ci sono anche ferrate emozionanti, ma alla portata di più o meno tutti (fatta salva la formazione che ci vuole in ogni caso: mica si può andare a passeggiare in parete senza sapere neanche come è fatto un cavo metallico) e la ferrata del Col Rodella è proprio una di quelle meravigliose klettersteig.
Il Col Rodella sovrasta Campitello. Ve lo ricordate Campitello? Quando vi ho raccontato della mia prima escursione, quella sul Sassopiatto,vi ho rivelato che dovrebbe essere meta di pellegrinaggio per la pasticceria più buona dell’universo che, potendo scegliere se aprire sulla Terra o su qualsiasi altro pianeta (magari Ceres che sembra proprio un bel asteroide e ha già della buona birra), ha scelto di stare proprio lì in Trentino. E già solo questo a me sembra un ottimo motivo per andare a fare trekking in Val di Fassa. E in effetti un po’ lo è stato.
L’estate del Col Rodella per il Signor Coso e me era l’estate delle ferrate. C’eravamo partiti dall’anno prima con quell’idea, per merito di un inaspettato sentiero attrezzato, che per comodità chiameremo il sentiero per il Rifugio Re Alberto, che ci aveva messo addosso una febbre da ferrata che non è mai passata. Non eravamo, però, nel raggio di azione del Col Rodella ad essere sinceri. Eravamo a Colfosco, in Val Badia, che non è dall’altra parte del mondo ma non è neanche in Val di Fassa; e ci stavamo trovando bene. Avevamo già fatto un paio di klettersteig, la ferrata del Piccolo Cir prima e la ferrata Brigata Tridentina poi, e avevamo assaltato ogni rifugio a nostra disposizione in cerca di un krapfen, neanche fossi un tossico in cerca di metadone (parlo al singolare perché in realtà ero solo io ad andare a caccia di krapfen). Ed è proprio qui che cade il pero.
Provate a immaginare di essere in una camera d’albergo, morti sul letto, sfiancati dalla fila di quattro ore sulla Tridentina e da un altro paio di escursioni piuttosto lunghe, affamati di krapfen mai trovati e in contemplazione sulla ferrata di Santa Cristina e sul suo infinito avvicinamento che dovrete fare il giorno dopo. Ora ditemi: non avreste accettato anche voi la proposta di andare a fare la breve ferrata del Col Rodella e assaltare poi la pasticceria più buona dell’universo? Chiamatemi pure debole, ma io non ho resistito. Così abbiamo caricato gli zaini e l’attrezzatura in macchina e abbiamo cambiato valle. Un viaggietto non velocissimo, ma volete mettere quanto sarebbe stato peggio se la pasticceria avesse davvero aperto su Ceres?
Da Campitello si potrebbe salire fino all’attacco della ferrata per un facile sentiero di circa 40 minuti. L’ho detto, però: avevo scelto il Col Rodella per non fare avvicinamento quindi noi abbiamo preso la funivia e in un attimo eravamo di nuovo lì: all’uscita della stazione con il discesone spacca-ginocchia di fronte a noi. Un brutto deja-vu, ma stavolta non mi avrebbe avuta!
Svoltando a destra siamo scesi passando sotto i cavi della funivia e abbiamo percorso una pietraia da cui è quasi immediatamente visibile l’attacco della ferrata a sinistra della stazione. Era una giornata di sole, una di quelle giornate in cui i cieli della Val di Fassa si riempiono di corvi e tipi in parapendio e infatti c’erano tutti e due e se non fosse stato per la diversa dimensione sarebbe stato facile confonderli. E mentre loro scendevano noi ci preparavamo a salire. Caschi in testa e imbrago alla vita e abbiamo cominciato a conquistare la parete sud del Col Rodella.
Il primo tratto della ferrata non presenta particolare difficoltà. Si procede in diagonale fino a incontrare un camino coricato che si supera in spaccata (grazie mamma di avermi iscritta a ginnastica artistica quando ero bambina!). Il difficile arriva dopo, quando si incontra il primo tratto di roccia liscia che, però, è abbastanza breve. Si prosegue quindi per un tratto quasi pianeggiante, ma ben schiacciati contro la parete, fino a raggiungere un traverso aereo che porta a una serie di staffe su una parete a precipizio. Ed è qui il piccolo dramma.
Il Col Rodella, vi sarà ormai chiaro, era la nostra terza ferrata in assoluto, ma soprattutto (e questo non lo potete sapere) era la prima ferrata che facevamo mandando me per prima. Me! Provate a immaginarvelo. Io, che sono talmente goffa da aver preso ben due pali in fronte nella mia vita, letteralmente, e d’aver perso il conto del numero di finestre che ho preso a testate, io andavo per prima su di una ferrata che non sarà particolarmente complessa ma che è quasi sempre esposta e molto verticale. Eravamo fregati! E io ero nel panico. Ho fatto tutta la ferrata ripetendo “perché lo sto facendo? Perché lo sto facendo? Perché lo sto facendo?” e ho cominciato a dirlo in modo ancora più stridulo quando mi sono resa conto che alla scaletta mancavano un paio di staffe per permettermi di superare facilmente la parete. Niente, non c’erano: ero bloccata lì; per il fastidio del Signor Coso che, non capendo dal basso quale fosse il problema, mi incalzava per farmi andare avanti. Tipo quelli che ti suonano quando ti fermi per far passare un pedone. Solo che in questo caso non stava passando nessuno, neanche io.
Il Signor Coso e io abbiamo festeggiato la conquista del Col Rodella con un buon piatto di fettuccine/pappardelle (non ricordo e non so la differenza) al ragù di cervo al Rifugio Col Rodella. È stato un pranzo veloce però: il nostro obiettivo era un altro.
Attraverso un sentiero acciottolato breve ma ripidissimo (tutto da quelle parti deve essere ripido altrimenti viene bandito per sempre dal gruppo montuoso del Sassopiatto) siamo tornati al Rifugio Des Alpes (2440m) e abbiamo ripreso la funivia e giù fino a Campitello e poi alla pasticceria. Io già lo sentivo il sapore di quel krapfen. La marmellata che mi invadeva la bocca, la pasta che cedeva sotto i denti… e invece niente. Ve lo dico da subito: la pasticceria più buona dell’universo aveva finito i krapfen perché… beh, perché erano le quattro di pomeriggio più o meno. Mea culpa. Mi sono consolata con una fetta di torta, comunque. Non che mi lamenti però… ho pure cambiato valle per quel krapfen e invece… niente krapfen quell’anno. Niente in assoluto. Che tristezza!
Partenza: Campitello (in funivia)
Arrivo: Campitello (in funivia)
Difficoltà: EEA
Durata: 1 ore circa
Dislivello: 100m
Rifugi: Rifugio Des Alpes, Rifugio Col Rodella
L’avvicinamento al Col Rodella
L’estate del Col Rodella per il Signor Coso e me era l’estate delle ferrate. C’eravamo partiti dall’anno prima con quell’idea, per merito di un inaspettato sentiero attrezzato, che per comodità chiameremo il sentiero per il Rifugio Re Alberto, che ci aveva messo addosso una febbre da ferrata che non è mai passata. Non eravamo, però, nel raggio di azione del Col Rodella ad essere sinceri. Eravamo a Colfosco, in Val Badia, che non è dall’altra parte del mondo ma non è neanche in Val di Fassa; e ci stavamo trovando bene. Avevamo già fatto un paio di klettersteig, la ferrata del Piccolo Cir prima e la ferrata Brigata Tridentina poi, e avevamo assaltato ogni rifugio a nostra disposizione in cerca di un krapfen, neanche fossi un tossico in cerca di metadone (parlo al singolare perché in realtà ero solo io ad andare a caccia di krapfen). Ed è proprio qui che cade il pero.
Provate a immaginare di essere in una camera d’albergo, morti sul letto, sfiancati dalla fila di quattro ore sulla Tridentina e da un altro paio di escursioni piuttosto lunghe, affamati di krapfen mai trovati e in contemplazione sulla ferrata di Santa Cristina e sul suo infinito avvicinamento che dovrete fare il giorno dopo. Ora ditemi: non avreste accettato anche voi la proposta di andare a fare la breve ferrata del Col Rodella e assaltare poi la pasticceria più buona dell’universo? Chiamatemi pure debole, ma io non ho resistito. Così abbiamo caricato gli zaini e l’attrezzatura in macchina e abbiamo cambiato valle. Un viaggietto non velocissimo, ma volete mettere quanto sarebbe stato peggio se la pasticceria avesse davvero aperto su Ceres?
La ferrata Col Rodella
Da Campitello si potrebbe salire fino all’attacco della ferrata per un facile sentiero di circa 40 minuti. L’ho detto, però: avevo scelto il Col Rodella per non fare avvicinamento quindi noi abbiamo preso la funivia e in un attimo eravamo di nuovo lì: all’uscita della stazione con il discesone spacca-ginocchia di fronte a noi. Un brutto deja-vu, ma stavolta non mi avrebbe avuta!
Svoltando a destra siamo scesi passando sotto i cavi della funivia e abbiamo percorso una pietraia da cui è quasi immediatamente visibile l’attacco della ferrata a sinistra della stazione. Era una giornata di sole, una di quelle giornate in cui i cieli della Val di Fassa si riempiono di corvi e tipi in parapendio e infatti c’erano tutti e due e se non fosse stato per la diversa dimensione sarebbe stato facile confonderli. E mentre loro scendevano noi ci preparavamo a salire. Caschi in testa e imbrago alla vita e abbiamo cominciato a conquistare la parete sud del Col Rodella.
Il primo tratto della ferrata non presenta particolare difficoltà. Si procede in diagonale fino a incontrare un camino coricato che si supera in spaccata (grazie mamma di avermi iscritta a ginnastica artistica quando ero bambina!). Il difficile arriva dopo, quando si incontra il primo tratto di roccia liscia che, però, è abbastanza breve. Si prosegue quindi per un tratto quasi pianeggiante, ma ben schiacciati contro la parete, fino a raggiungere un traverso aereo che porta a una serie di staffe su una parete a precipizio. Ed è qui il piccolo dramma.
Il Col Rodella, vi sarà ormai chiaro, era la nostra terza ferrata in assoluto, ma soprattutto (e questo non lo potete sapere) era la prima ferrata che facevamo mandando me per prima. Me! Provate a immaginarvelo. Io, che sono talmente goffa da aver preso ben due pali in fronte nella mia vita, letteralmente, e d’aver perso il conto del numero di finestre che ho preso a testate, io andavo per prima su di una ferrata che non sarà particolarmente complessa ma che è quasi sempre esposta e molto verticale. Eravamo fregati! E io ero nel panico. Ho fatto tutta la ferrata ripetendo “perché lo sto facendo? Perché lo sto facendo? Perché lo sto facendo?” e ho cominciato a dirlo in modo ancora più stridulo quando mi sono resa conto che alla scaletta mancavano un paio di staffe per permettermi di superare facilmente la parete. Niente, non c’erano: ero bloccata lì; per il fastidio del Signor Coso che, non capendo dal basso quale fosse il problema, mi incalzava per farmi andare avanti. Tipo quelli che ti suonano quando ti fermi per far passare un pedone. Solo che in questo caso non stava passando nessuno, neanche io.
Ora, potrei lasciarvi con il dubbio di come si supera questo piccolo imprevisto così da vedere quanto ci metterete voi quando ci andrete a trovare la soluzione che ho trovato io, ma sono buona: vi rivelo il trucco. A sinistra, verso il vuoto, c’è una conca dove poter infilare la mano. La sensazione che avrete sarà quella di starvi per suicidare, ma fidatevi ce la farete! Sì ce la farete, ma solo per finire nel bel mezzo del secondo tratto di roccia liscia, sta volta più lungo e più esposto.
A quel punto, d’improvviso e senza motivo, ho scoperto di aver paura del vuoto. Mi era successo un po’ sulla Tridentina, ma il Col Rodella è stato tutto un altro livello di paura del vuoto così da “perché lo sto facendo?” ho cominciato a ripetere “non cadere! Non cadere! Non cadere!”. È stato utile: non sono caduta. Forse avrei dovuto ripete anche “non farti colpire dal sasso! Non farti colpire dal sasso!” visto il diluvio di sassolini (piccoli ma maleficamente duri) che una signora davanti a me mi ha lanciato addosso a ripetizione per tutta la ferrata senza avvertire mai. Chissà se avrebbe funzionato.
Superato il tratto liscio si ha tempo di riprendere fiato per poi affrontare un traversino esposto che richiede l’aggiramento di uno spigolo per raggiungere un tratto più tranquillo di piccole rocce. Da questo punto in poi si è praticamente alla fine della ferrata. Una serie di gradoni di roccia, una scaletta e si è arrivati in cima, al Rifugio Col Rodella (2486m). E da qui in poi mi sono di colpo tramutata in un Messner in miniatura da sempre convinto di potercela fare. E niente: la paura del vuoto era già dimenticata. Giuro che non ero io quella che si schiacciava contro le rocce in iperventilazione e che a un certo punto ha pure rischiato di scivolare. Giuro! Era la mia gemella cattiva.
A quel punto, d’improvviso e senza motivo, ho scoperto di aver paura del vuoto. Mi era successo un po’ sulla Tridentina, ma il Col Rodella è stato tutto un altro livello di paura del vuoto così da “perché lo sto facendo?” ho cominciato a ripetere “non cadere! Non cadere! Non cadere!”. È stato utile: non sono caduta. Forse avrei dovuto ripete anche “non farti colpire dal sasso! Non farti colpire dal sasso!” visto il diluvio di sassolini (piccoli ma maleficamente duri) che una signora davanti a me mi ha lanciato addosso a ripetizione per tutta la ferrata senza avvertire mai. Chissà se avrebbe funzionato.
Superato il tratto liscio si ha tempo di riprendere fiato per poi affrontare un traversino esposto che richiede l’aggiramento di uno spigolo per raggiungere un tratto più tranquillo di piccole rocce. Da questo punto in poi si è praticamente alla fine della ferrata. Una serie di gradoni di roccia, una scaletta e si è arrivati in cima, al Rifugio Col Rodella (2486m). E da qui in poi mi sono di colpo tramutata in un Messner in miniatura da sempre convinto di potercela fare. E niente: la paura del vuoto era già dimenticata. Giuro che non ero io quella che si schiacciava contro le rocce in iperventilazione e che a un certo punto ha pure rischiato di scivolare. Giuro! Era la mia gemella cattiva.
Il ritorno a Campitello
Il Signor Coso e io abbiamo festeggiato la conquista del Col Rodella con un buon piatto di fettuccine/pappardelle (non ricordo e non so la differenza) al ragù di cervo al Rifugio Col Rodella. È stato un pranzo veloce però: il nostro obiettivo era un altro.
Attraverso un sentiero acciottolato breve ma ripidissimo (tutto da quelle parti deve essere ripido altrimenti viene bandito per sempre dal gruppo montuoso del Sassopiatto) siamo tornati al Rifugio Des Alpes (2440m) e abbiamo ripreso la funivia e giù fino a Campitello e poi alla pasticceria. Io già lo sentivo il sapore di quel krapfen. La marmellata che mi invadeva la bocca, la pasta che cedeva sotto i denti… e invece niente. Ve lo dico da subito: la pasticceria più buona dell’universo aveva finito i krapfen perché… beh, perché erano le quattro di pomeriggio più o meno. Mea culpa. Mi sono consolata con una fetta di torta, comunque. Non che mi lamenti però… ho pure cambiato valle per quel krapfen e invece… niente krapfen quell’anno. Niente in assoluto. Che tristezza!
Scheda della ferrata:
Partenza: Campitello (in funivia)
Arrivo: Campitello (in funivia)
Difficoltà: EEA
Durata: 1 ore circa
Dislivello: 100m
Rifugi: Rifugio Des Alpes, Rifugio Col Rodella
Tutte le foto sono mie e del Signor Coso. Le riprese video e il montaggio sono del Signor Coso. La musica del video è free royalty ed è stata presa da Bensound
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