venerdì 25 gennaio 2019

LA FALESIA JURASSIC PARK

OSSIA LA VOLTA CHE TI ASPETTI I DINOSAURI E INVECE TROVI UNA “VIA FERRATA”


Lo so che da tutte le mie disavventure non sembra, ma il Signor Coso e io siamo persone abbastanza accorte in montagna. Per questo motivo prima di tentare la nostra prima estate di klettersteig abbiamo pensato, ormai qualche anno fa, di seguire un corso CAI sulle vie ferrate. Il bello dei corsi CAI è che non si limitano a essere teorici ma regalano anche un po’ di pratica. Quindi, per tutti quelli di voi che si stanno chiedendo come sarebbe frequentare un corso CAI, ecco la storia della Falesia Jurassic Park, ossia della nostra uscita CAI.


Vista dalla grotta alla Falesia Jurassic Park
Il panorama della Falesia Jurassic Park visto dalla grotta dove finisce la via ferrata


Il corso di vie ferrate del CAI


Per quanto mi piacerebbe vendermi come un talento naturale dell’alpinismo (e per quanto io sia consapevole di confessarmi invece come una mezza sola dell’escursionismo e una campionessa della goffagine a 360°) devo ammettere che la ferrata del Piccolo Cir, ossia la mia prima klettersteig, non è stata un’esperienza poco programmata.

L’inverno che ha preceduto la nostra estate in Val di Badia, infatti, il Signor Coso e io ci siamo fatti due conti sul nostro entusiasmo per la montagna e la nostra aspirazione per le klettersteig e abbiamo pensato che fosse una buona idea rivolgerci a qualcuno di esperto. Così ci siamo iscritti al corso sulle vie ferrate della scuola CAI Franco Alletto. Ora la Franco Alletto è a Roma (ma ha anche un interessante, per quanto non aggiornato, canale YouTube per chiunque volesse darci una sbirciatina), ma le sezioni CAI si possono trovare un po’ in tutta Italia.



Purtroppo il Signor Coso ha fatto un insensato affidamento sulle mie capacità mnemoniche per cui non mi ha raccontato molto del corso in sé. Quello che posso dirvi in generale sul corso è decisamente poco e si potrebbe riassumere in:
  • una lezione teorica sui rischi della montagna in cui, tra l’altro, abbiamo imparato nozioni dal valore decisamente alto come “ferrata = metallo ovunque; temporale = fulmini; metallo = parafulmini; ferrata + temporale = brutta cosa”. Il che, riassunto in linguaggio umano, significa che se piove non si va in ferrata (anche perché la roccia della parete diventa fastidiosamente liscia) e che se ci si trova in parete e scoppia un temporale è importante allontanarsi il più possibile quanto prima e liberarsi di tutta l’attrezzatura di ferro;
  • una lezione teorica sull’attrezzatura e le tecniche specifiche 
  • una lezione in palestra sui nodi e l’allestimento delle soste
  • una lezione pratica presso la Falesia Jurassic Park in un sabato di primavera. 

L'arrivo alla grotta alla Falesia Jurassic Park
L'ingresso alla grotta che conclude la via ferrata della Falesia Jurassic Park

Le prove di via ferrata e la discesa in corda doppia nella Falesia Jurassic Park


La Falesia Jurassic Park, nonostante quello che potrebbe far pensare il nome, non c’entra nulla né con i T-Rex né con il professor Ian Malcom, mia cotta infantile. E per questo sono ancora un po’ in lutto, lo ammetto. In compenso, però, ha molto a che fare con diverse pareti di arrampicata oltre che con una piccola zona attrezzata ad hoc per allenarsi a percorrere le vie ferrate.

La falesia si trova vicino a Tagliacozzo, sulla strada che porta fuori dal piccolo paese di Petrella Liri. Dopo un paio di curve si raggiunge uno spiazzo abbastanza ampio da parcheggiarci più di una macchina. Da lì si è già arrivati nell’area attrezzata.

La zona ha tre attrazioni principali: una serie di due scalette (che però potrebbero anche essere montate volta per volta per il corso CAI), un punto allestito per la discesa in corda doppia e la via ferrata vera e propria.

Quel giorno noi eravamo una mezza bolgia: più di 20 persone con 5 istruttori CAI. Tra le oltre 20 persone c’era persino chi soffriva di vertigini (tanto di cappello allo sconosciuto di cui non ho mai memorizzato il nome che con le vertigini a 1000 ha provato a fare un corso di ferrate) e poi c’ero io che non sapevo neanche legarmi il dissipatore all’imbrago. Non che non sappia fare un nodo a bocca di lupo - eh! - ma il mio dissipatore è del tipo “mi piego ma non mi spezzo” quindi… di solito interviene il Signor Coso che lo “spiezza in due”. Insomma forse non eravamo il gruppo più brillante della storia dell’alpinismo...

Per poter far tutto, senza incalzarci più dello stretto necessario, siamo stati divisi in due gruppi. Il Signor Coso e io siamo finiti in quello che cominciava dalle scalette. Lo scopo essenziale di queste due scalette era quello di farci familiarizzare con la parete e l’avanzamento verticale. La regola base da imparare, in generale, era quella di tenere le longe del dissipatore nell’incavo del gomito per non lasciarselo troppo indietro. Sapete com’è: effetto della forza di gravità! Regola base da imparare per me: smettere di tremare. Spoiler alert. Non ho imparato.

La prima scaletta è piuttosto ampia e comoda, mentre la seconda si stringe un po’ e si fa più ardua, anche se forse la maggiore difficoltà è dovuta soprattutto al mancato allineamento delle due scalette. Io le ho fatte tremare entrambe neanche fossi il terremoto stesso. Il mio tremore però non aveva senso: ovviamente la salita era totalmente in sicurezza. Un istruttore ci faceva sicura da terra. Era un tipo strano, però affidabile: portava degli occhiali a prisma che gli permettevano di guardare in alto senza dove inarcare il collo. Decisamente comodo, ma inconsueto da vedere. Era talmente inconsueto che è rimasto nella fantasia collettiva per molto tempo al punto che, qualche mese dopo, senza nessun buon motivo ha cominciato a circolare sul gruppo Whatsapp del corso la convinzione che fosse morto, manco fosse Tonio Cartonio. Non lo era, ovviamente. Ma almeno adesso l’anonimo istruttore CAI può entrare a pieno titolo nella rosa dei morti ancora in vita insieme a Paul McCartney, Macaulay Culkin e Fabri Fibra. Fico no?!

Alla fine della scala dovevamo lasciarci andare. L’intero corso CAI è praticamente un continuo dover dare fiducia a sconosciuti. Il Tonio Cartonio del CAI ci doveva calare lentamente a terra. E qui se ne sono viste di tutti i colori. Qualcuno si è ancorato alle scale neanche fosse un riccio sullo scoglio. Vi giuro che era difficile convincere alcuni a staccarsi da lì.

Subito sopra la scala si sviluppano 5/6 metri di ferrata orizzontale dove è necessario avanzare con sedere in pizzo e piedi puntati sulla roccia. È un tratto breve, ma abbastanza sfidante, perfetto per imparare a cavarsela anche nei punti un po’ più ostici. Una volta calati nuovamente a terra era il momento di passare alla corda doppia.

Prima di farci affrontare una vera discesa in corda doppia ci hanno spiegato in sicurezza e con i piedi ben piantati a terra tutti i nodi e le sicure da usare e come fare a fermarsi e ripartire. Siccome vi ho già ammorbato sufficientemente su tutte queste tecniche quando vi ho raccontato del Monte Viglio direi di saltare la teoria e andare subito alla pratica.

Il punto allestito per la corda doppia si trova in cima a una rupe. Lì ci aspettava un altro istruttore pronto a controllare che fosse tutto a posto prima di dare il via alla nostra discesa per 20 metri. Nel complesso era una discesa piuttosto autonoma: unica sicurezza l’istruttore a terra sempre pronto a tirare la corda doppia per fermarci.

Discesa assistita alla Falesia Jurassic Park
La mia discesa assistita per 30 metri alla Falesia Jurassic Park


La via ferrata della Falesia Jurassic Park


A questo punto era già passata qualche ora ed era il momento di riunire i gruppi e affrontare la via ferrata vera e propria. Che poi fa ridere chiamarla così: “via ferrata vera e propria”. Che uno a sentirla chiamare così chissà che si immagina, magari l’Elferkofel e invece è praticamente un sentiero attrezzato. Che poi non è neanche un sentiero attrezzato, a dire il vero. La via per il Rifugio Re Alberto è un sentiero attrezzato, questo è più un semplice sentiero per il 90% del percorso. Il 10% che si potrebbe chiamare “attrezzato”, invece, è all’inizio e alla fine del sentiero.

I primi due/tre metri del sentiero sono particolarmente verticali e scivolosi. Un po’ per l’inesperienza, un po’ per il terriccio qui si potrebbe avere qualche difficoltà. L’istinto spinge quasi subito ad ancorarsi al cavo metallico. Il problema è che l’istinto di tutti agisce nello stesso identico modo e in più il cavo è un po’ lasso… così è quasi inevitabile che tira tu tira io… la mia mano resta intrappolata tra il cavo e la roccia. Così ho imparato quanto può far male affidarsi troppo al cavo della ferrata. Tra cavo e roccia, sempre scegliere la roccia!

Il secondo tragico tratto è quasi all’imbocco della grotta dove si conclude la ferrata. Qui un gradone di circa un metro e mezzo, due metri è riuscito a farmi incagliare come poche volte nella vita. Non c’era modo di superarlo. Non c’era appiglio, non c’era presa. Il cavo non aiutava. E io ero ferma a un passo dalla fine, destinata a essere per sempre un tappo nella lunghissima fila indiana di noi formichine ferratiste.

Ho provato a superare quel tratto più e più volte. Ricordo lo scarpone che non faceva presa e le mie braccine rachitiche che non erano in grado di trascinarmi su a forza. Ho supplicato il Signor Coso di salvarmi. Il mio orgoglio c’è rimasto particolarmente male per questo mio obbligatorio momento di debolezza. Cioè, ci fosse almeno stato il professor Ian Malcom da supplicare… e invece mi è toccato il Signor Coso. Me lo sono dovuto far bastare…

A dire il vero non ricordo precisamente come ho superato quel gradone. Forse mi ha sollevato di peso il Signor Coso, forse un miracolo mi ha permesso di trovare un appiglietto su cui far leva, forse un T-rex mi ha tirato su con le sue lunghe e possenti braccia. In effetti potrebbe essere… tra le tre quella del T-rex mi sembra l’opzione più plausibile.

Fatto sta che alla fine sono arrivata anche io all’interno della grotta dove l’ultimo istruttore aveva già attrezzato la sosta per permetterci di fare la discesa assistita di 30 metri che ci avrebbe riportato fuori dalla ferrata.

Una discesa assistita significa non fare nulla se non sporgersi abbastanza da permettere all’altro di calarti in sicurezza e tenere lontane le mani dal cavo. Davvero, si deve fare solo questo: sporgersi, non toccare il cavo e camminare. E sapete quali sono state le tre cose che ha sbraitato più spesso l’istruttore?

  1. “Sporgiti! E sporgiti! Su forza sporgiti! Più fuori! Più fuori! Devi scendere in parete quindi vai sulla parete! SPORGITI!”
  2. “Togli le mani dal cavo! Non tenerti al cavo! Togli le mani dal cavo ci penso io! Non è una discesa in corda doppia: togli le mani dal cavo! Togli quelle mani o te le taglio! TOGLI. LE. MANI. DAL. CAVO!”
  3. “Non saltare! Non saltare! Devi camminare! Cammina! Non fare come 007 che non ha senso! Non saltare! Non si salta, si cammina! Non saltare! Ti ho detto di NON SALTARE!”
A ripetizione. Poveraccio!

Comunque una volta a terra era finito tutto. Tu eri vivo, l’insegnante senza voce e la tua adrenalina era talmente tanta che per i tre giorni successivi sembrava ti fossi fatta di cocaina. Ah! L’effetto della montagna!

Quindi, tirando le fila:

  • il corso del CAI? Buono, molto buono!
  • come iniziare con le ferrate? Facendo un corso CAI o se si hanno amici esperti facendosi fare un corso perfetto, serio e completo da loro
  • Jurassic Park? Una falesia davvero divertente!
  • La via ferrata? Semplice ma carina.
  • La corda doppia? Bella!
  • La discesa assistita? Più comica che terrorizzante.
  • Il professor Ian Malcom? Non pervenuto.
  • Il T-rex? Il mio nuovo eroe!
Sulla via ferrata della Falesia Jurassic Park
La via verdeggiante della ferrata della Falesia Jurassic Park


Le foto sono tutte del Signor Coso

venerdì 18 gennaio 2019

5 COSE DA NON FARE DURANTE UN'ESCURSIONE

UN PICCOLO VADEMECUM PER MUOVERE I PRIMI PASSI


Anno nuovo, vita nuova! Per cui se fino ad ora siete stati tipi da mare che ne dite di provare qualcosa di diverso e darvi all’escursionismo? Non dico subito, d’altro canto anche io prediligo la stagione calda per andare in montagna, ma per prepararsi non è mai troppo presto, no?! E allora, se avete deciso di mettere da parte per un po’ l’ombrellone eccovi 5 cose da non fare assolutamente durante un’escursione. 5 informazioni essenziali per cominciare, ma anche per continuare al meglio!


Sentiero sull'Hoher Burgstall
Sentiero di ritorno sull'Hoher Burgstall

1. NON SOTTOVALUTARE IL SENTIERO


Quando si fa un’escursione la prima cosa importante è sapere quanto è difficile il sentiero che si sta per affrontare. Tranquilli! Non mi aspetto che siate onniscienti. Fortunatamente libri e siti straripano di ottime informazioni sulla maggioranza dei sentieri, ma è importante saperle leggere.

Cosa cercare quando si tenta di farsi un’idea di un’escursione? Prima di tutto il dislivello, quindi la sua lunghezza: la combo dislivello+lunghezza vi darà il valore vero della fatica richiesta.

Importante è anche il terreno su cui si cammina: la ghiaia secondo me è il peggior nemico dell’escursionista. Di certo è il mio peggior nemico! La Val Setus, per riscendere dalla Ferrata Tridentina, ad esempio, è stata forse l’esperienza peggiore della mia breve, goffa e caotica esperienza escursionistica (seconda solo al Vajolet, ma lì la ghiaia non c’entrava niente…).

Anche l’esposizione al vuoto e la presenza di tratti “ferrati” implicano, inevitabilmente, un sentiero più impegnativo. Se siete all’inizio, quindi, è meglio evitarli.

Fortunatamente nel tempo è stata codificata una scala di difficoltà per evitare agli escursionisti di affrontare un’escursione troppo al di sopra delle loro capacità. Qualche semplice lettera può fare la differenza tra una divertente avventura e un inquietante incubo.

I sentieri possono essere:

  • T - Turistici. Escursioni tranquille, solitamente al di sotto dei 2000 m, su mulattiere, stradine o sentieri larghi. Tendenzialmente sono ben segnalati, non comportano problemi di orientamento e sono alla portata anche di escursionisti totalmente inesperti.
  • E - Escursionistici. Escursioni solo leggermente più sfidanti delle precedenti, su terreni misti e costellate dei giusti cartelli. Qui è là potrebbero esserci dei piccoli tratti esposti non difficili grazie alla presenza costante di cavi.
  • EE - per Escursionisti Esperti. Qui il terreno può essere impervio e scivoloso, a volte roccioso ma non prevede mai l’avanzare su un ghiacciaio. Il sentiero è tendenzialmente segnalato, ma le caratteristiche variabili del terreno, la lunghezza elevata dell’escursione e il dislivello non piccolo che caratterizzano questi percorsi rendono necessari una preparazione fisica e di conoscenze non da principianti e la presenza di tutto il materiale tecnico adeguato.
  • EEA - per Escursionisti Esperti con Attrezzatura. Sono praticamente le EE ma con l’aggiunta dei tratti attrezzati. In sostanza sono le ferrate. Quindi divieto assoluto di affrontare queste escursioni se non si possiede la giusta attrezzatura di autoassicurazione (moschettoni, dissipatore, imbragatura, cordini)!
Dopo questi livelli ci sono solo i gradi di scalata, ma adesso non esageriamo, no?!


2. NON PRENDERE SCORCIATOIE


Una cosa che non va mai fatta in montagna è quella di barare. Capita a tutti, soprattutto le prime volte, di credersi più furbi del sentiero. Guardate tutta la strada davanti a voi e pensate “ma sai che c’è? Io prendo a destra, qui, per campi così accorcio”. Ecco, questo è il modo giusto per fare un’escursione di 10 ore invece di quella da 4 che vi prometteva il sentiero. Perché inevitabilmente, con una certezza del 100%, vi perderete e dovrete tornare indietro dopo aver vagabondato senza meta, senza senso e senza speranza e aver sperperato tutte le vostre energie. Fidatevi! So di cosa parlo: d’altro canto è esattamente quello che è successo a me al Monte di Cambio, purtroppo…

Altra cosa da non fare è andare fuoripista. è pericoloso, per voi e per gli altri. No, non è da furbi: è solo da scemi!


3. NON ANDARE DI FRETTA


Roma non è stata costruita in un giorno e neanche le vostre capacità escursionistiche saranno al top già dalla prima escursione. Insomma io sono entrata nel mio quinto anno di escursioni e sono ancora soltanto una goffa zoppetta. Magari voi siete più talentuosi di me, ma comunque vi servirà tempo per diventare i nuovi Bonatti.

Per cui tenete a mente le tre parole chiave del muovere i primi passi in montagna:

  • Gradualità. Cominciate con un trekking facile. Anche i più allenati di voi non sono abituati a pendenze e altitudini come quelle che le montagne possono regalare, quindi è facile che durante la prima escursione sarete un po’ privi di energie. Non esagerate e ricordatevi sempre: il gioco è tornare giù con ancora un po’ di forze, altrimenti non avete giocato bene.
  • Costanza. Non cominciate a fare escursioni lunghissime e poi a passare mesi con il sedere ben ancorato sul divano. Lo so, lo so: la vita quotidiana è faticosa! C’è il lavoro, la scuola o quel che vi pare e poi siamo tutti un po’ pigri… però no! Dovete continuare a muovervi, abituare il vostro fisico a uno stato diverso da quello di pachiderma spiaggiato. Se abitate in città potete sempre farvi lunghe passeggiate o andare in palestra, meglio ancora se tutte e due. E poi ci sono allenamenti ad hoc per non perdere il passo. Quindi non avete scuse: vi siete dati all’escursionismo? E adesso dovete continuare a camminare!
  • Intensità del passo. La cosa più difficile da imparare le prime volte è il passo da tenere. Avrete la tentazione di dover correre, ma il trekking non è una gara (e anche se lo fosse sarebbe una maratona, non i 100 metri). Non potete consumare tutte le energie all’inizio, ma non ha neanche senso andare troppo piano: finireste per non arrivare mai. Dovete trovare il passo giusto, la giusta velocità per non decelerare mai e riuscire a fare tutto nei tempi che vi siete prefissati. Lo so che non è facile, ma vi tocca. Nella mia magnanimità vi consiglio la tecnica che uso io per tenere il passo: mi canticchio in testa vecchie canzoni popolari. Provate voi a canticchiare “il Piave mormorava caldo e placido al passaggio dei primi fanti il 24 maggio…” e a non continuare a marciare nonostante la stanchezza!


4. NON FARTI SORPRENDERE DAL BUIO


Quando siete in montagna dovete considerarvi come Cenerentola. Solo che siete peggio di Cenerentola: lei almeno poteva aspettare la mezzanotte, voi dovete rientrare prima del tramonto. Ebbene sì! Penserete che non c’è niente di più bello che un tramonto visto in vetta ma vi sbagliate. Al tramonto in montagna succedono due cose:

  • inizia a fare freddo
  • non ci si vede più nulla (ricordate? Montagna, niente lampioni…)
Per cui è essenziale tornare indietro quando il sole è ancora piuttosto alto. Calcolate bene i tempi sia prima che durante l’escursione e in caso vi doveste trovare ancora sul sentiero quando il sole scende (non deve succedere, ma se succede) assicuratevi di aver fatto lo zaino per bene e di averci messo dentro anche una torcia.

5. FAI LE PAUSE DURANTE L’ESCURSIONE, NON L’ESCURSIONE DURANTE LE PAUSE


C’è un motivo se il Signor Coso non ha amato particolarmente le prime escursioni con me. E no, non è perché non stavo mai zitta, altra cosa da non fare in montagna: il fiato è tipo oro, va conservato gelosamente!

No, è perché facevo pause continue. A mia difesa erano tutte motivate: sentivo caldo, e poi freddo, e poi caldo, e poi freddo, e poi caldo, e poi freddo, e poi… insomma, avete capito! Tipo ogni tre passi dovevo mettermi la felpa, o togliermi la felpa, e poi mettermi il giacchetto, e poi accorciarmi i pantaloni… e così via.

In sostanza noi non facevamo un’escursione, facevamo delle pause! L’escursione era solo quello che capitava in mezzo, in modo anche piuttosto disparato, tra le mille pause e le altre mille pause. Era un lento stillicidio, a pensarci adesso.

Ecco, tutta questa cosa delle pause è terribilmente sbagliata quando si è in montagna. Ve lo ho detto prima: bisogna tenere il giusto passo e bisogna tornare a casa con il sole. Tradotto: bisogna evitare le pause. Non dico di non farle mai, io non ce la farei a vivere senza fare mai pause, ma dovreste fare solo quelle strettamente necessarie.

Se il vostro corpo riesce ancora ad andare avanti senza troppa difficoltà è probabile che quella pausa che volete tanto fare sia solo pigrizia. Evitatela!


Ecco le 5 cose da non fare. E nei miei pochi anni di escursioni le ho fatte quasi tutte. Oh! Come sono brava! Ma voi datemi soddisfazione: almeno voi imparate dai miei errori e non fatele mai.

venerdì 11 gennaio 2019

L'ESCURSIONE AL MONTE CAVA

#GIROGIROCOSO: LA STORIA DEL CROCEVIA INDEMONIATO


Primo articolo del 2019 e per cominciare al meglio ho deciso di raccontarvi del più grande buco nell’acqua alpinistico del Signor Coso e dell’Amico Esperto. Si comincia al meglio perché quella volta io non c’ero per cui il buco nell’acqua non è mio! Protagonista di questa nuova puntata di #GiroGiroCoso è l’escursione al Monte Cava.

Panoramica del Monte Cava
Panoramica dal Monte Cava

L’avvicinamento al Monte Cava


Se state cercando il Monte Cava sulla mappa vi consiglio di ignorare il Massiccio del Gran Sasso e la Majella: non è lì che lo troverete. Il Monte Cava fa parte del Gruppo Montuoso San Rocco-Monte Cava e costituisce lo spartiacque tra la provincia dell’Aquila e quella di Rieti, sempre ammesso che si possa parlare di “spartiacque” quando si parla di una catena montuosa…

Fatto sta, comunque, che il Monte Cava è un po’ il rejetto dell’Appennino Centrale, se mi passate il termine: non fa parte del Gran Sasso, non fa parte della Majella e neppure la catena del Sirente-Velino lo vuole. Insomma un appestato!

Per raggiungerlo è sufficiente prendere l’Autostrada dei Parchi in direzione L’Aquila (sempre ammesso che non stiate già all’Aquila ovviamente) e uscire a Tornimparte. In realtà potreste raggiungerlo anche dal ben più vicino paese di Corvaro, da non confondere con Corvara che invece sta in Alto Adige. Il Signor Coso e l’Amico Esperto, però, l’hanno avvicinato da Tornimparte, forse perché temevano di sbagliare e finire in Alto Adige altrimenti. E fidatevi: per come è andata poi la cosa non era un rischio così improbabile!

Una volta usciti dall’autostrada si devono sopportare un po’ di tornanti per raggiungere una piazzola dove è possibile parcheggiare. La zona su cui si affaccia la piazzola si chiama Prato Capito (un nome piuttosto ironico, ma su questo ci torniamo dopo) e le coordinate le trovate qui.

Dalla piazzola parte una strada che si potrebbe percorrere in macchina ma il Signor Coso e l’Amico Esperto si sentivano sportivi quel giorno: hanno parcheggiato e l’hanno intrapresa a piedi. Quindi la nostra escursione comincia qui.


Discesa in corda doppia sul Monte Cava
Una prova di corda doppia sul Monte Cava

L’escursione al Monte Cava


La stradina che scende dalla piazzola si tuffa nella conca verde di Prato Capito fino a un incavo dove diverse attrezzature per il barbecue fanno supporre che, sebbene il Monte Cava non è il più famoso per le escursioni, non è certo ignorato dai buon gustai.

Se c’è una cosa di cui sono certa è che l’Amico Esperto e il Signor Coso siano, senza ombra di dubbio, delle buone forchette. D’altro canto ho sentito più discorsi sulla cucina in vetta a una montagna che intorno a un tavolo. Quella volta, però, se dobbiamo fidarci della loro parola, sono riusciti a resistere alla tentazione del barbecue e hanno proseguito sulla loro strada. Come avranno fatto? Le opzioni sono due: o l’amore per la montagna omnia vincit oppure una rivolta di salsicce li ha costretti a giurare che non avrebbero mai più mangiato un insaccato e a darsela a gambe levate. Chissà quale delle due opzioni è quella giusta...

Mentre stavano scappando dalle salsicce, ops!, volevo dire proseguendo la loro escursione hanno imboccato un sentiero nel bosco che tra piccole discese e tratti pianeggianti li ha portati a circumnavigare la conca erbosa fino a raggiungere un crocevia.

Sapete cosa si dice dei crocevia? Che sono i luoghi migliori dove perdersi. Puoi stare ore e ore a pensare quale strada prendere, ma se sei bloccato in un crocevia puoi metterci la mano sul fuoco che non prenderai quella giusta. L’unico modo per non perdersi a un incrocio è sapere da che parte andare, che poi è anche l’unico modo per non perdersi in generale. Ma se non sai dove andare… beh! Allora il crocevia stava aspettando proprio te perché non c’è cosa che diverta di più un crocevia che far perdere qualcuno. Ci vanno proprio matti per queste cose. So che c’è un incontro annuale dei vari incroci dove fanno i conti su quante persone sono riusciti a far perdere e quello che ne ha fatte perdere di più vince il premio “Crocevia infame dell’anno”. Se fai perdere la strada alla stessa persona più volte consecutive vale doppio. Quel crocevia là, alla fine del bosco, quell’anno ha vinto di certo. Non per niente il Signor Coso e l’Amico Esperto qualche mese dopo hanno ricevuto un biglietto di ringraziamento. Era anonimo ma sono certa fosse del crocevia perché il postino si è perso più volte per recapitarlo.

L’incrocio per arrivare al Monte Cava è un lontano cugino del Triangolo delle Bermuda. Non per niente non appena sono arrivati lì il GPS dell’Amico Esperto ha cominciato a dare di matto. Siccome non voglio credere al complotto del GPS ubriaco dal giorno prima per combutta con il crocevia, sono propensa ad avvalorare la tesi di un avvelenamento da poli invertiti della freccetta del GPS da parte dell’incrocio. Gli esperti, comunque, indagano ancora sulle varie piste.

Fatto sta, comunque, che privi del loro navigatore il Signor Coso e l’Amico Esperto si sono ritrovati a dover scegliere che strada fare, ed è lì che sono cominciate le comiche manco fossero su Benny Hill.

Hanno scelto il sentiero n. 1, lo hanno seguito per un po’. Mezz’ora, diciamo? Poi hanno capito di aver sbagliato strada. Sono tornati indietro. Altra mezz’ora. Sentiero n.3. Nada! Indietro. Sentiero n. 5. Un buco nell’acqua. Sentiero n. 5b per tentare di raggiungere il sentiero n. 4 senza tornare indietro. Un fallimento. Tornati di nuovo al crocievia. Sentiero n.7. Sentiero n. 10. Sentiero n. 2. Sentiero n. 28. Sentiero n. 5 (di nuovo). Sentiero n. 365. Sentiero n. 67. Sentiero n.3 (già fatto?). Sentiero n. ¼. Sentiero n. . Sentiero n. radice quadrata di 
853.098. Sentiero n. le uova di Calimero dopo che è passato Topo Gigio. E ancora di nuovo ferma al crocevia.

A questo punto erano stanchi, accaldati (il sole stava cercando di scioglierli dall’interno per quanto bruciava) e assetati (l’acqua era ormai agli sgoccioli). E nella disperazione più totale si sono fatti una domanda “ma non è che il quad copre qualche indicazione?” Sì, gente: c’era un quad. Non hanno ancora cominciato ad avere le allucinazioni. Un pastore piuttosto moderno aveva parcheggiato il suo quad sul crocevia. Così si sono affacciati oltre al quad e… eccolo lì, il cartello! Un cartellino piccolo, a loro difesa, e attaccato abbastanza in basso per essere nascosto da un quad ma c’era e indicava precisamente il sentiero per il Monte Cava. Così, rincuorati, lo hanno intrapreso.

Il Signor Coso descrive questa salita come un percorso erboso, senza troppe difficoltà né molta pendenza, quasi una grande collinetta. Quindi vi sorprenderà scoprire che alla fine questa salitina li ha sconfitti. Si erano persi troppe volte ormai per riuscire ad arrivare sulla vetta del Monte Cava (2000 m). Erano stanchi ed era ormai troppo tardi. Così al primo spiazzo giusto che hanno trovato si sono fermati hanno attrezzato una discesa in corda doppia per allenarsi un po’ (ebbene sì, si sono persi mille volte portandosi dietro tutto il peso dell’attrezzatura per la corda doppia) e hanno fatto qualche discesa. Nulla di divertente come avremmo poi fatto un annetto dopo sul Monte Viglio, ma per lo meno quel giorno hanno fatto qualcosa di più del perdersi soltanto.



Il ritorno dal Monte Cava


E niente: questa è la storia del buco nell’acqua che è stata l’escursione al Monte Cava. Per lo meno quando sono tornati indietro, per la stessa strada dell’andata, non si sono persi. E quando hanno raggiunto Prato Capito, alla fine di una giornata in cui non ci avevano capito niente, la rivolta delle salsicce era stata spenta e un porchettaro li attendeva vicino alla loro macchina per rifornirli di bevande. Erano rimasti completamente privi d’acqua in un giorno d’estate sull’Appennino: praticamente il peggior incubo di qualunque alpinista!

Alla fine sono sopravvissuti, ma sul Monte Cava che io sappia non ci sono più tornati: avranno paura che il crocevia voglia vincere di nuovo il premio annuale...


Discesa in corda doppia su un pendio sul Monte Cava
Pendio = prove di corda doppia sul Monte Cava
Tutte le foto sono del Signor Coso o dell'Amico Esperto