OSSIA LA VOLTA CHE TI ASPETTI I DINOSAURI E INVECE TROVI UNA “VIA FERRATA”
Lo so che da tutte le mie disavventure non sembra, ma il Signor Coso e io siamo persone abbastanza accorte in montagna. Per questo motivo prima di tentare la nostra prima estate di klettersteig abbiamo pensato, ormai qualche anno fa, di seguire un corso CAI sulle vie ferrate. Il bello dei corsi CAI è che non si limitano a essere teorici ma regalano anche un po’ di pratica. Quindi, per tutti quelli di voi che si stanno chiedendo come sarebbe frequentare un corso CAI, ecco la storia della Falesia Jurassic Park, ossia della nostra uscita CAI.
Il panorama della Falesia Jurassic Park visto dalla grotta dove finisce la via ferrata |
Il corso di vie ferrate del CAI
Per quanto mi piacerebbe vendermi come un talento naturale dell’alpinismo (e per quanto io sia consapevole di confessarmi invece come una mezza sola dell’escursionismo e una campionessa della goffagine a 360°) devo ammettere che la ferrata del Piccolo Cir, ossia la mia prima klettersteig, non è stata un’esperienza poco programmata.
L’inverno che ha preceduto la nostra estate in Val di Badia, infatti, il Signor Coso e io ci siamo fatti due conti sul nostro entusiasmo per la montagna e la nostra aspirazione per le klettersteig e abbiamo pensato che fosse una buona idea rivolgerci a qualcuno di esperto. Così ci siamo iscritti al corso sulle vie ferrate della scuola CAI Franco Alletto. Ora la Franco Alletto è a Roma (ma ha anche un interessante, per quanto non aggiornato, canale YouTube per chiunque volesse darci una sbirciatina), ma le sezioni CAI si possono trovare un po’ in tutta Italia.
Purtroppo il Signor Coso ha fatto un insensato affidamento sulle mie capacità mnemoniche per cui non mi ha raccontato molto del corso in sé. Quello che posso dirvi in generale sul corso è decisamente poco e si potrebbe riassumere in:
La Falesia Jurassic Park, nonostante quello che potrebbe far pensare il nome, non c’entra nulla né con i T-Rex né con il professor Ian Malcom, mia cotta infantile. E per questo sono ancora un po’ in lutto, lo ammetto. In compenso, però, ha molto a che fare con diverse pareti di arrampicata oltre che con una piccola zona attrezzata ad hoc per allenarsi a percorrere le vie ferrate.
La falesia si trova vicino a Tagliacozzo, sulla strada che porta fuori dal piccolo paese di Petrella Liri. Dopo un paio di curve si raggiunge uno spiazzo abbastanza ampio da parcheggiarci più di una macchina. Da lì si è già arrivati nell’area attrezzata.
La zona ha tre attrazioni principali: una serie di due scalette (che però potrebbero anche essere montate volta per volta per il corso CAI), un punto allestito per la discesa in corda doppia e la via ferrata vera e propria.
Quel giorno noi eravamo una mezza bolgia: più di 20 persone con 5 istruttori CAI. Tra le oltre 20 persone c’era persino chi soffriva di vertigini (tanto di cappello allo sconosciuto di cui non ho mai memorizzato il nome che con le vertigini a 1000 ha provato a fare un corso di ferrate) e poi c’ero io che non sapevo neanche legarmi il dissipatore all’imbrago. Non che non sappia fare un nodo a bocca di lupo - eh! - ma il mio dissipatore è del tipo “mi piego ma non mi spezzo” quindi… di solito interviene il Signor Coso che lo “spiezza in due”. Insomma forse non eravamo il gruppo più brillante della storia dell’alpinismo...
Per poter far tutto, senza incalzarci più dello stretto necessario, siamo stati divisi in due gruppi. Il Signor Coso e io siamo finiti in quello che cominciava dalle scalette. Lo scopo essenziale di queste due scalette era quello di farci familiarizzare con la parete e l’avanzamento verticale. La regola base da imparare, in generale, era quella di tenere le longe del dissipatore nell’incavo del gomito per non lasciarselo troppo indietro. Sapete com’è: effetto della forza di gravità! Regola base da imparare per me: smettere di tremare. Spoiler alert. Non ho imparato.
La prima scaletta è piuttosto ampia e comoda, mentre la seconda si stringe un po’ e si fa più ardua, anche se forse la maggiore difficoltà è dovuta soprattutto al mancato allineamento delle due scalette. Io le ho fatte tremare entrambe neanche fossi il terremoto stesso. Il mio tremore però non aveva senso: ovviamente la salita era totalmente in sicurezza. Un istruttore ci faceva sicura da terra. Era un tipo strano, però affidabile: portava degli occhiali a prisma che gli permettevano di guardare in alto senza dove inarcare il collo. Decisamente comodo, ma inconsueto da vedere. Era talmente inconsueto che è rimasto nella fantasia collettiva per molto tempo al punto che, qualche mese dopo, senza nessun buon motivo ha cominciato a circolare sul gruppo Whatsapp del corso la convinzione che fosse morto, manco fosse Tonio Cartonio. Non lo era, ovviamente. Ma almeno adesso l’anonimo istruttore CAI può entrare a pieno titolo nella rosa dei morti ancora in vita insieme a Paul McCartney, Macaulay Culkin e Fabri Fibra. Fico no?!
Alla fine della scala dovevamo lasciarci andare. L’intero corso CAI è praticamente un continuo dover dare fiducia a sconosciuti. Il Tonio Cartonio del CAI ci doveva calare lentamente a terra. E qui se ne sono viste di tutti i colori. Qualcuno si è ancorato alle scale neanche fosse un riccio sullo scoglio. Vi giuro che era difficile convincere alcuni a staccarsi da lì.
Subito sopra la scala si sviluppano 5/6 metri di ferrata orizzontale dove è necessario avanzare con sedere in pizzo e piedi puntati sulla roccia. È un tratto breve, ma abbastanza sfidante, perfetto per imparare a cavarsela anche nei punti un po’ più ostici. Una volta calati nuovamente a terra era il momento di passare alla corda doppia.
Prima di farci affrontare una vera discesa in corda doppia ci hanno spiegato in sicurezza e con i piedi ben piantati a terra tutti i nodi e le sicure da usare e come fare a fermarsi e ripartire. Siccome vi ho già ammorbato sufficientemente su tutte queste tecniche quando vi ho raccontato del Monte Viglio direi di saltare la teoria e andare subito alla pratica.
Il punto allestito per la corda doppia si trova in cima a una rupe. Lì ci aspettava un altro istruttore pronto a controllare che fosse tutto a posto prima di dare il via alla nostra discesa per 20 metri. Nel complesso era una discesa piuttosto autonoma: unica sicurezza l’istruttore a terra sempre pronto a tirare la corda doppia per fermarci.
- una lezione teorica sui rischi della montagna in cui, tra l’altro, abbiamo imparato nozioni dal valore decisamente alto come “ferrata = metallo ovunque; temporale = fulmini; metallo = parafulmini; ferrata + temporale = brutta cosa”. Il che, riassunto in linguaggio umano, significa che se piove non si va in ferrata (anche perché la roccia della parete diventa fastidiosamente liscia) e che se ci si trova in parete e scoppia un temporale è importante allontanarsi il più possibile quanto prima e liberarsi di tutta l’attrezzatura di ferro;
- una lezione teorica sull’attrezzatura e le tecniche specifiche
- una lezione in palestra sui nodi e l’allestimento delle soste
- una lezione pratica presso la Falesia Jurassic Park in un sabato di primavera.
L'ingresso alla grotta che conclude la via ferrata della Falesia Jurassic Park |
Le prove di via ferrata e la discesa in corda doppia nella Falesia Jurassic Park
La Falesia Jurassic Park, nonostante quello che potrebbe far pensare il nome, non c’entra nulla né con i T-Rex né con il professor Ian Malcom, mia cotta infantile. E per questo sono ancora un po’ in lutto, lo ammetto. In compenso, però, ha molto a che fare con diverse pareti di arrampicata oltre che con una piccola zona attrezzata ad hoc per allenarsi a percorrere le vie ferrate.
La falesia si trova vicino a Tagliacozzo, sulla strada che porta fuori dal piccolo paese di Petrella Liri. Dopo un paio di curve si raggiunge uno spiazzo abbastanza ampio da parcheggiarci più di una macchina. Da lì si è già arrivati nell’area attrezzata.
La zona ha tre attrazioni principali: una serie di due scalette (che però potrebbero anche essere montate volta per volta per il corso CAI), un punto allestito per la discesa in corda doppia e la via ferrata vera e propria.
Quel giorno noi eravamo una mezza bolgia: più di 20 persone con 5 istruttori CAI. Tra le oltre 20 persone c’era persino chi soffriva di vertigini (tanto di cappello allo sconosciuto di cui non ho mai memorizzato il nome che con le vertigini a 1000 ha provato a fare un corso di ferrate) e poi c’ero io che non sapevo neanche legarmi il dissipatore all’imbrago. Non che non sappia fare un nodo a bocca di lupo - eh! - ma il mio dissipatore è del tipo “mi piego ma non mi spezzo” quindi… di solito interviene il Signor Coso che lo “spiezza in due”. Insomma forse non eravamo il gruppo più brillante della storia dell’alpinismo...
Per poter far tutto, senza incalzarci più dello stretto necessario, siamo stati divisi in due gruppi. Il Signor Coso e io siamo finiti in quello che cominciava dalle scalette. Lo scopo essenziale di queste due scalette era quello di farci familiarizzare con la parete e l’avanzamento verticale. La regola base da imparare, in generale, era quella di tenere le longe del dissipatore nell’incavo del gomito per non lasciarselo troppo indietro. Sapete com’è: effetto della forza di gravità! Regola base da imparare per me: smettere di tremare. Spoiler alert. Non ho imparato.
La prima scaletta è piuttosto ampia e comoda, mentre la seconda si stringe un po’ e si fa più ardua, anche se forse la maggiore difficoltà è dovuta soprattutto al mancato allineamento delle due scalette. Io le ho fatte tremare entrambe neanche fossi il terremoto stesso. Il mio tremore però non aveva senso: ovviamente la salita era totalmente in sicurezza. Un istruttore ci faceva sicura da terra. Era un tipo strano, però affidabile: portava degli occhiali a prisma che gli permettevano di guardare in alto senza dove inarcare il collo. Decisamente comodo, ma inconsueto da vedere. Era talmente inconsueto che è rimasto nella fantasia collettiva per molto tempo al punto che, qualche mese dopo, senza nessun buon motivo ha cominciato a circolare sul gruppo Whatsapp del corso la convinzione che fosse morto, manco fosse Tonio Cartonio. Non lo era, ovviamente. Ma almeno adesso l’anonimo istruttore CAI può entrare a pieno titolo nella rosa dei morti ancora in vita insieme a Paul McCartney, Macaulay Culkin e Fabri Fibra. Fico no?!
Alla fine della scala dovevamo lasciarci andare. L’intero corso CAI è praticamente un continuo dover dare fiducia a sconosciuti. Il Tonio Cartonio del CAI ci doveva calare lentamente a terra. E qui se ne sono viste di tutti i colori. Qualcuno si è ancorato alle scale neanche fosse un riccio sullo scoglio. Vi giuro che era difficile convincere alcuni a staccarsi da lì.
Subito sopra la scala si sviluppano 5/6 metri di ferrata orizzontale dove è necessario avanzare con sedere in pizzo e piedi puntati sulla roccia. È un tratto breve, ma abbastanza sfidante, perfetto per imparare a cavarsela anche nei punti un po’ più ostici. Una volta calati nuovamente a terra era il momento di passare alla corda doppia.
Prima di farci affrontare una vera discesa in corda doppia ci hanno spiegato in sicurezza e con i piedi ben piantati a terra tutti i nodi e le sicure da usare e come fare a fermarsi e ripartire. Siccome vi ho già ammorbato sufficientemente su tutte queste tecniche quando vi ho raccontato del Monte Viglio direi di saltare la teoria e andare subito alla pratica.
Il punto allestito per la corda doppia si trova in cima a una rupe. Lì ci aspettava un altro istruttore pronto a controllare che fosse tutto a posto prima di dare il via alla nostra discesa per 20 metri. Nel complesso era una discesa piuttosto autonoma: unica sicurezza l’istruttore a terra sempre pronto a tirare la corda doppia per fermarci.
La mia discesa assistita per 30 metri alla Falesia Jurassic Park |
La via ferrata della Falesia Jurassic Park
A questo punto era già passata qualche ora ed era il momento di riunire i gruppi e affrontare la via ferrata vera e propria. Che poi fa ridere chiamarla così: “via ferrata vera e propria”. Che uno a sentirla chiamare così chissà che si immagina, magari l’Elferkofel e invece è praticamente un sentiero attrezzato. Che poi non è neanche un sentiero attrezzato, a dire il vero. La via per il Rifugio Re Alberto è un sentiero attrezzato, questo è più un semplice sentiero per il 90% del percorso. Il 10% che si potrebbe chiamare “attrezzato”, invece, è all’inizio e alla fine del sentiero.
I primi due/tre metri del sentiero sono particolarmente verticali e scivolosi. Un po’ per l’inesperienza, un po’ per il terriccio qui si potrebbe avere qualche difficoltà. L’istinto spinge quasi subito ad ancorarsi al cavo metallico. Il problema è che l’istinto di tutti agisce nello stesso identico modo e in più il cavo è un po’ lasso… così è quasi inevitabile che tira tu tira io… la mia mano resta intrappolata tra il cavo e la roccia. Così ho imparato quanto può far male affidarsi troppo al cavo della ferrata. Tra cavo e roccia, sempre scegliere la roccia!
Il secondo tragico tratto è quasi all’imbocco della grotta dove si conclude la ferrata. Qui un gradone di circa un metro e mezzo, due metri è riuscito a farmi incagliare come poche volte nella vita. Non c’era modo di superarlo. Non c’era appiglio, non c’era presa. Il cavo non aiutava. E io ero ferma a un passo dalla fine, destinata a essere per sempre un tappo nella lunghissima fila indiana di noi formichine ferratiste.
Ho provato a superare quel tratto più e più volte. Ricordo lo scarpone che non faceva presa e le mie braccine rachitiche che non erano in grado di trascinarmi su a forza. Ho supplicato il Signor Coso di salvarmi. Il mio orgoglio c’è rimasto particolarmente male per questo mio obbligatorio momento di debolezza. Cioè, ci fosse almeno stato il professor Ian Malcom da supplicare… e invece mi è toccato il Signor Coso. Me lo sono dovuto far bastare…
A dire il vero non ricordo precisamente come ho superato quel gradone. Forse mi ha sollevato di peso il Signor Coso, forse un miracolo mi ha permesso di trovare un appiglietto su cui far leva, forse un T-rex mi ha tirato su con le sue lunghe e possenti braccia. In effetti potrebbe essere… tra le tre quella del T-rex mi sembra l’opzione più plausibile.
Fatto sta che alla fine sono arrivata anche io all’interno della grotta dove l’ultimo istruttore aveva già attrezzato la sosta per permetterci di fare la discesa assistita di 30 metri che ci avrebbe riportato fuori dalla ferrata.
Una discesa assistita significa non fare nulla se non sporgersi abbastanza da permettere all’altro di calarti in sicurezza e tenere lontane le mani dal cavo. Davvero, si deve fare solo questo: sporgersi, non toccare il cavo e camminare. E sapete quali sono state le tre cose che ha sbraitato più spesso l’istruttore?
- “Sporgiti! E sporgiti! Su forza sporgiti! Più fuori! Più fuori! Devi scendere in parete quindi vai sulla parete! SPORGITI!”
- “Togli le mani dal cavo! Non tenerti al cavo! Togli le mani dal cavo ci penso io! Non è una discesa in corda doppia: togli le mani dal cavo! Togli quelle mani o te le taglio! TOGLI. LE. MANI. DAL. CAVO!”
- “Non saltare! Non saltare! Devi camminare! Cammina! Non fare come 007 che non ha senso! Non saltare! Non si salta, si cammina! Non saltare! Ti ho detto di NON SALTARE!”
Comunque una volta a terra era finito tutto. Tu eri vivo, l’insegnante senza voce e la tua adrenalina era talmente tanta che per i tre giorni successivi sembrava ti fossi fatta di cocaina. Ah! L’effetto della montagna!
Quindi, tirando le fila:
- il corso del CAI? Buono, molto buono!
- come iniziare con le ferrate? Facendo un corso CAI o se si hanno amici esperti facendosi fare un corso perfetto, serio e completo da loro
- Jurassic Park? Una falesia davvero divertente!
- La via ferrata? Semplice ma carina.
- La corda doppia? Bella!
- La discesa assistita? Più comica che terrorizzante.
- Il professor Ian Malcom? Non pervenuto.
- Il T-rex? Il mio nuovo eroe!
La via verdeggiante della ferrata della Falesia Jurassic Park |
Le foto sono tutte del Signor Coso
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