LA VOLTA DELLA FERRATA DI SHRÖDINGER (LA KLETTERSTEIG È VIVA O MORTA?)
Elferkofel non è stata la mia prima via ferrata in Austria. Voglio che questo sia chiaro subito. Ma se è la prima che vi racconto forse è perché, in fondo in fondo, è quella che mi è rimasta un po’ più nel cuore. Sarà che a modo suo mi ricorda la teoria dei quanti: la ferrata c’è e non c’è al tempo stesso e alla fine compare solo quando ci incocci contro. Tutto chiaro, no?! Avete bisogno di altre spiegazioni? Okay, okay! Andiamo più nel dettaglio.
Scorcio della vetta dell'Elferkofel |
La salita al Rifugio Elferhütte
La prima cosa che bisogna sapere è che Elferkofel è una delle due ferrate che decorano l’Elfer, una delle seven summit della Stubaital. Fino a poco tempo fa ho creduto che le seven summit fossero le sette vette più alte di questa bella valle sotto Innsbruck e per questo ero esaltata dall’essere riuscita a conquistarne due (oltre all’Elfer mi sono portata a casa anche l’Hoher Burgstall), invece ho scoperto che non è così. In realtà sono le sette vette più significative, non so bene per cosa. Comunque sono lo stesso belle e se state facendo trekking nella Stubaital e siete meno polli del Signor Coso e di me potete timbrare il cartellino su ciascuna seven summit che conquistate così poi avrete il premio finale, che ora sul momento non ricordo cosa sia.
Comunque, come dicevamo, Elferkofel è una delle due klettersteig perché l’altra è la Ferrata Nordwand che, però, è molto ma molto più difficile. Della serie che se volete morire male potete andare da bravi inesperti a fare questa ferrata. Se invece volete morire bene fate come noi e godetevi l’Elferkofel che per altro, detto tra noi, porta alla vetta più alta dell’Elfer.
Che vogliate andare a godervi la ferrata Elferkofel o quella Nordwand o che vogliate anche solo intraprendere la via normale l’inizio è sempre lo stesso: si parte da Neustift im Stubaital dove si prende la funivia. Se arrivate in autobus scendere alla fermata Elferbahnen. Per altro vi conviene fare la stesso cosa anche se volete buttarvi giù dall’Elfer con il parapendio o con una mountain bike (please! Nel caso siate dei biker non frenate per evitare i ponti e i salti. Quelli che l’hanno fatto il giorno che sono stata io sull’Elfer mi hanno spezzato il cuore: speravo di vedere delle acrobazie).
Arrivati alla fine della funivia Elfer11 (1794m) la prima cosa che noterete è un gigantesco cerchio, o meglio una sfera… quel saputello del Signor Coso la chiama sfera armillare. Che diamine è mo una sfera armillare? Sono l’unica che quando sente “sfera armillare” pensa all’armadillo? Cioè pensateci: sfera armillare deve essere chiaramente un armadillo arrotolato! Anche se, però, devo ammettere che quella sfera aveva ben poco a che vedere con un armadillo… e poi il Signor Coso diceva che c’entrava qualcosa la sigla di Game of Thrones. Così me lo sono andata a cercare e ho scoperto che è un modello della sfera celeste inventato da Eratostene nel 255 a.C. Ripeto: Eratostene, 255 a.C.; davvero Signor Coso? Comunque per chi ne vuole sapere di più qui trova tutte le informazioni che vuole.
Nella realtà il nostro armadillo arrotolato è un punto panoramico carino, ma secondo me troppo di scena. Noi neanche ci siamo saliti sopra, per farvi capire quanto poco ci entusiasmava. Più curiosa è stata invece un’informazione che abbiamo raccolto una volta tornati in Italia: sembrerebbe che proseguendo oltre l’armadillo si possa raggiungere un rifugio dove ti ammazzano un qualche animale davanti agli occhi prima di cucinartelo. L’informazione all’inizio era completa, ma nel frattempo mi sono scordata che animale era. Mi verrebbe da dire aragosta ma non riesco a immaginare come possa esserci un’aragosta sulle alpi quindi… il Signor Coso scommette la trota, che è decisamente più probabile, ma a questo punto diciamo che ti cucinano un armadillo e chiudiamola qui.
Ignorando comunque l’armadillo panoramico (e anche quello culinario), subito a destra della funivia ci sono ben due vie che portano al rifugio Elferhütte (2080m) che è la prima tappa di questo lungo avvicinamento. Uno dei due sentieri è praticamente una canicola nelle fiamme infernali visto che è un sentiero dritto per dritto in un prato senza neanche uno straccio di ombra. L’altro, quello che abbiamo intrapreso noi, è uno zig zag nei boschi decorato qui e là di vecchi attrezzi agricoli e che in circa 30 minuti porta al rifugio. Questo in realtà è il sentiero che si percorre anche in inverno con le ciaspole, ma nella stagione invernale è tipo una condanna alla ghigliottina visto che passa sotto alla seggiovia e non c’è abbastanza spazio per piedi e teste. Insomma o passano gli sci di quelli in seggiovia o passano le teste di quelli con le ciaspole, non c’è alternativa.
Se si riesce a sopravvivere alla ghigiottina (e d’estate non è difficile visto che la seggiovia è ferma) si può ammirare in tutta la sua grandezza il rifugio Elferhütte che però sembra più un hotel (ma il servizio è molto da rifugio, non temete! Però questa è un’altra storia). Se proprio va a questo punto ci può anche stare una breve sosta, ma poi si deve ripartire. Da qui, infatti, si intraprende un sentiero indicato in modo chiaro, netto e inopinabile dal cartello segnaletico con su scritto “wanderweg”. Alzi la mano chi sa che vuol dire “wanderweg”… nessuno? Va bene, ve lo dico io: sentiero, significa sentiero. Certo che sono buffi questi austriaci eh!
Il punto panoramico a forma di sfera armillare che si trova sull'Elfer, all'uscita della funivia Elfer11 |
L’avvicinamento alla ferrata Elferkofel
Il successivo cartello giallo per lo meno è più chiaro visto che indica chiaramente la via da seguire. Da qui si sale lungo un pendio di arbusti sempre seguendo i cavi della funivia. Ho detto salendo, ma non è proprio la parola giusta. Il Signor Coso saliva, io arrancavo, ansimavo e mi lamentavo. E soprattutto ignoravo che questo non era che l’inizio. Infatti, quando usciti dagli arbusti abbiamo intravisto il bivio che con tanta ansia cercavamo, io ero su di giri. Ero certa che quel sentiero in quota che da lontano vedevo perdersi sulla destra dovesse essere il nostro. Già compiangevo i poveracci della via normale che dovevano proseguire dritti inerpicandosi in una salita apparentemente senza fine (e che sembrava aver deciso di sfidare i grattacieli). Il tragico, malefico bivio di Sulzenau Alm non mi aveva proprio insegnato niente! Ovviamente il mio sentiero era quello dritto, il sentiero a destra invece porta alla ferrata Nordwand.
Ve lo dico: io sono morta dentro a vedere quella salita infinita tra la ghiaia senza neanche la minima traccia in lontananza della ferrata. Dove era finita la mia ferrata Elferkofel? Dove? E perché io quel giorno avevo deciso di andare sull’Elfer invece di affrontare la meravigliosa, e soprattutto breve, ferrata Hollenrachen? Perché?
Inutile dire che non ho trovato risposte a queste mie domande. Soprattutto non dopo aver superato la salita ghiaiosa, quando mi sono ritrovata in un sali e scendi di rocce tra cui fare zig zag dove a farmi compagnia ci ha pensato la Bora. Sì lo so cosa state pensando: “ma che Bora e Bora! Sei in Austria mica a Trieste!”. E ho capito gente! Ma in fin dei conti pure la Bora avrà diritto di andarsene un po’ in vacanza no?! E questa estate se ne era andata in vacanza sull’Elfer; io che ci posso fare? Che poi sulle rocce pure pure riuscivo a gestirla, ma quando siamo arrivati sul sentiero franoso che veniva subito dopo vi giuro che volevo fare harakiri. L’unico problema era che avevo lasciato il mio coltello tantō a casa, se no l’avrei fatto giuro! Ormai avevo perso ogni speranza. Mi sembrava di star camminando da ore e ore e ore e ore e ore… e che lo zaino diventasse sempre più pesante e più pesante e più pesante e… insomma, avete capito.
In quei terribili giorni di cammino una sola certezza si radicava in me: avevamo sbagliato strada e la ferrata Elferkofel era un’illusione collettiva, una trappola sociale a cui non c’era scampo. Chiunque giurasse di essere arrivato sulla vetta dell’Elferkofel era vittima di un falso ricordo. Era evidente! Non c’era vetta e non c’era più possibilità di tornare indietro: oramai eravamo arrivati troppo lontano, potevamo solo andare avanti. Verso il centoventitreesimo giorno (circa un’ora da quando eravamo partiti dal rifugio, per chi interessa il tempo dell’orologio certamente bugiardo) abbiamo raggiunto il bivio che a destra porta all’Elferspitze, raggiungibile o tramite la via normale o tramite la Nordwand. Piccola curiosità sull’Elferspitze: se tradotto in italiano il suo nome è letteralmente Cima Unidici. Ora qualcuno mi spieghi perché il monte unidici fa parte delle sette vette? Ma undici cosa?
Noi ci siamo spinti ancora oltre. Oramai eravamo totalmente ubriachi dall’idea di affrontare questa ferrata quantistica, questo triangolo delle Bermuda alpinistico, questo buco nero capace di distorcere lo spazio-tempo fino a far sembrare tre mesi di marcia come solo un’ora e mezza di avvicinamento. Ma prima di precipitare in questa illusione collettiva e diventare parte del Matrix-Elferkofel dovevamo ancora affrontare un terreno insidioso, pieno di rocce e di rischi di scivolare, dove ho dovuto fare uso di tutte le mie abilità gollumiane per non precipitare. E nel frattempo la Bora era ancora con noi, così forte che mi sono dovuta togliere il cappello perché proprio non riuscivo ad avanzare sicura di me e tenerlo stretto con una mano per non farlo volare via. Neppure il ventosissimo Brancastello era riuscito in questa impresa!
Alla fine, però, ce l’abbiamo fatta. Superate tutte le prove, sconfitta persino la sfinge (la risposta era “l’uomo” però shhhh! Non ditelo a nessuno), eccolo lì l’ultimo bivio e a destra lei: la ferrata Elferkofel! Ma di lei vi racconto nella seconda puntata (cliccate sul link se volete sapere tutto e vedervi il video). Cliffangher… e buio!
La cresta dell'Elfer, verso la ferrata Elferkofel |
Tutte le foto sono mie e del Signor Coso
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